sabato 8 ottobre 2011

OGGI!

Yom Kippur, il Giorno dell'Espiazione, è la festività più sacra e importante del calendario ebraico. E' un giorno di digiuno e preghiera, celebrato il 10 di Tishrei, 10 giorni dopo Rosh Hashanah, il Capodanno ebraico. Yom Kippur segna la fine dei "Dieci giorni dell'Espiazione", e concede agli ebrei l'ultima oppurtunità di ottenere il perdono e l'assoluzione dai propri peccati per l'anno appena giunto al termine. Per meritare il perdono, la giornata è dedicata all'espiazione spirituale, e al proposito di iniziare l'anno nuovo con una coscienza limpida, consapevoli che Dio perdona chiunque sia veramente rammaricato dei propri peccati.
L'idea della purificazione si esprime nel digiuno, che gli ebrei osservanti praticano dalla sera della festività fino alla sera successiva. A differenza delle altre festività ebraiche, Yom Kippur viene rispettata sempre, anche quando cade durante lo Shabbat, ed è l'unica giornata durante la quale sono previste cinque preghiere rituali.
Yom Kippur non si collega ad alcun evento storico, sebbene alcuni ritengano che in questo giorno Moshe discese dal Monte Sinai con la seconda serie di tavole scolpite con i 10 comandamenti, e con il perdono di Dio verso il popolo di Israele per il peccato del vitello d'oro. La festività viene decretata nella Torah, dove è chiamata Shabbat del riposo solenne, un giorno in cui non deve essere svolta alcuna attività produttiva, esattamente come durante lo Shabbat.
Anche se gran parte degli ebrei di Israele non sono religiosi, Yom Kippur è e rimane una giornata speciale, che mantiene il suo singolare carattere, e molti ebrei che si dicono laici e non visitano mai una sinagoga in tutto l'anno, in questo giorno speciale si recano alle preghiere rituali e, completamente o parzialmente, osservano il digiuno.

Consuetudini

Digiuno - La Torah stabilisce che in questo giorno gli ebrei devono essere "afflitti nell'anima", osservando un digiuno totale, astenendosi da cibo e bevande, e rispettando altre proibizioni verso ogni piacere fisico, evitando di indossare scarpe in pelle o di lavare qualsiasi parte del corpo, denti compresi. Il digiuno, che perdura dal tramonto della vigilia fino al sorgere delle stelle della sera successiva, non è inteso solo come disagio, ma come un distacco dal coilvolgimenti fisico che consenta una maggiore concentrazione nella preghiera e nell'introspezione richieste in questo giorno.

Kaparot - Espiazione rituale, praticata secondo la consuetudine nel giorno di Yom Kippur. Un pollo vivo viene fatto roteare in cerchio attorno alla testa di una persona, con la credenza che i peccati vengano trasferiti al pollo, successivamente macellato. E' d'uso offrire in dono ai poveri il pollo, o i soldi ricavati dalla vendita.

Selichot -  Richiesta di perdono che si aggiunge alle preghiere dei giorni precedenti Yom Kippur, e del giorno stesso, e che consiste nel chiedere perdono a chiunque si ritenga di avere in qualche modo offeso poiché, secondo la fede ebraica, osservare Yom Kippur consente di espiare i peccati verso Dio, ma non verso altri uomini, ai quali è d'obbligo chiedere perdono individualmente.

La cena prima del digiuno - Alla vigilia di Yom Kippur il precetto religioso richiede che la cena festiva termini al tramonto, e che il periodo di digiuno abbia inizio immediatamente dopo.

Preghiera - Gli ebrei religiosi trascorrono tutta la giornata di Yom Kippur in sinagoga, dedicandosi alla preghiera, che include un generale riconoscimento dei propri peccati, enumerandoli silenziosamente. Una delle più importanti preghiere è Kol Nidrei, declamata dopo le parole di apertura della prima preghiera, che cancella ogni promessa e giuramento. E' d'uso recarsi in sinagoga vestiti a festa, o vestiti di bianco, simbolo di purezza.

Il suono dello shofar - Al termine di Yom Kippur, lo squillo dello shofar, il corno di montone, chiude il periodo di preghiera e digiuno.

Informazioni importanti

Durante Yom Kippur sulle strade non c'è traffico, e molte famiglie passeggiano lungo le vie cittadine. Anche a Tel Aviv, una città dal carattere chiaramente laico, dove difficilmente l'attività si ferma e dove le strade sono sempre intasate, gli automobilisti rispettano la festività ed evitano di guidare. I bambini d'ogni età, d'altra parte, ne traggono vantaggio percorrendo le strade in bicicletta, roller e skateboard. Le aziende restano chiuse, comprese quelle che generalmente non osservano lo Shabbat, radio e televisione trasmettono solo i programmi delle emittenti straniere, poiché radio e tv israeliane sospendono l'attività.
Se visitate Israele in questo periodo, potete trarre vantaggio da Yom Kippur passeggiando per la strada, e visitando una sinagoga per osservare i fedeli riuniti in preghiera o per partecipare voi stessi a questa esperienza. In ogni caso, tenete conto che nelle città ebraiche tutto si ferma, tutto chiude, non vi sono trasporti pubblici nè taxi, offrendo un'atmosfera del tutto diversa dal solito.

mercoledì 5 ottobre 2011

Giudecca (CHINISIA) a Marsala

La presenza di una comunità ebraica nella nostra città, già in età romano-imperiale, è attestata
dal rinvenimento di alcuni oggetti decorati col candelabro a sette bracci, la Menorah, simbolo
del popolo ebraico. Ma i primi documenti relativi a cittadini marsalesi di religione ebraica
risalgono agli inizi del XIV secolo. Da essi apprendiamo che la comunità giudaica marsalese
non viveva chiusa in un ghetto, come accadeva altrove, ma era volontariamente concentrata in
un’area grosso modo compresa tra le odierne piazzetta Fratelli Chirco, via Frisella, via Diaz,
piazza S. Francesco, via XIX luglio e via S. Michele. La sinagoga si trovava. nella
piazza Fratelli Chirco (allora chiamata piazza dei giudei) ed aveva l’ingresso in un grande cortile
di via D’Anna; il cimitero si trovava fuori città nell’area compresa tra le vie Bilardello, La Rosa e
Mazzini; il luogo di purificazione delle donne, anch’esso fuori città, si trovava tra le attuali vie IV
aprile e Volturno. Gli Ebrei marsalesi si dedicavano in modo particolare al commercio, sia quello
in grande ad ampio raggio sia quello locale al minuto. La produzione e il commercio del vino
erano attività assai diffuse e praticate. Ma essi non disdegnavano neanche le attività artigianali:
la produzione e la tintura dei tessuti, la lavorazione dei metalli, ferro e oro in particolare, e la
produzione del salnitro. Non praticavano, invece, il prestito ad usura, come erano soliti fare i
loro correligionari dell'Europa orientale. E questo spiega l'assenza di un antisemitismo siciliano
di massa. Infatti non si possono mettere sullo stesso piano i pogrom dell’Europa dell’est
(sommosse popolari antiebraiche che davano luogo a massacri e saccheggi) con le sassaiole
cui erano fatti oggetto gli Ebrei marsalesi, su istigazione di frati predicatori rozzi e intolleranti, in
occasione di alcune feste religiose. In particolare, nel giorno di S. Stefano, i Giudei di Marsala
erano costretti ad andare nella Chiesa Madre, per assistere alle funzioni sacre e alle prediche
che avevano lo scopo di farli convertire al cattolicesimo. All'uscita di solito erano ingiuriati e
presi a sassate da gruppi di scalmanati cristiani, che volevano in tal modo vendicare la
lapidazione di Santo Stefano. Contro tale barbara usanza gli Ebrei di Marsala protestarono più
volte fino a quando il re Martino nel 1400 condannò ed abrogò quella malvagia consuetudine.
Sotto il governo dei sovrani aragonesi gli Ebrei non potevano acquistare e possedere schiavi
cristiani, ma soltanto quelli mori; era proibito esercitare qualsiasi ufficio pubblico, prestare opera
di medici a favore dei cristiani, vendere medicine, e comunque, mostrare familiarità con i
cristiani. Nonostante le limitazioni dei diritti e le persecuzioni cui talvolta era sottoposta, la
comunità giudaica marsalese nel XIV secolo ci appare fiorente e in crescita demografica. Nel
1373, essendo i locali della vecchia sinagoga diventati insufficienti ad accogliere tutti i fedeli, i
magistrati della comunità giudaica chiesero ai loro colleghi cristiani di poter allargare la
sinagoga utilizzando alcuni locali contigui appartenenti alla comunità stessa. Il capitano della
città, Enrico di lu Boscu e i giurati cristiani, dopo aver compiuto un'ispezione e constatata
l'effettiva inadeguatezza dei locali, diedero l'assenso subordinandolo, però, alla conferma regia,
che arrivò poco tempo dopo. Le due comunità di norma convivevano pacificamente e si
dividevano in maniera proporzionale i tributi che la città doveva al re. I Giudei pagavano un
decimo dell’intero importo, giacché essi costituivano un decimo della popolazione. Ma nel 1449,
essendo la comunità giudaica cresciuta, la quota di imposte da loro dovuta, di comune accordo,
fu portata da un decimo ad un sesto. Anche dal punto di vista culturale la giudaica di Marsala
risulta assai vivace: tra il XIV e il XV secolo sei medici giudei marsalesi furono autorizzati ad
esercitare la medicina in tutto il regno.

lettere sulla giudecca di marsala

Restaurate numerose abitazioni e luoghi pubblici nella giudecca storica di Marsala, una giudecca di particolare importanza per l'alta percentuale di israeliti che vi dimoravano e da conversi continuarono a dimorarvi, tanto che se ne perpetuano anche oggi i cognomi. In particolare l'edificio di S.Maria dell'Idrella, destinato dal comune ad un restauro conservativo, ha al suo interno traccia di diverse utilizzazioni, come e' apparso nel corso di uno scavo funzionale e non archeologico della ditta a cui l'architetto Sciacca, responsabile del progetto, ha affidato i lavori. Ho provato a sensibilizzare i beni culturali di Trapani sull'interesse storico di tale edificio, forse parte del complesso sinagogale.La collocazione di questi complessi è sempre problematica per tutte le città della Sicilia essendo i beni che per primi venivano alienati dopo gli editti di esplulsione. Non mi è stata data alcuna risposta se non lo sbarramento dell'edificio, e la continuazione della utilizzazione quale pubblico garage di parte di esso, pavimentato con colate di cemento.
Vaghe sono state le risposte date anche ad una studiosa della storia degli ebrei in Sicilia, da me richiesta di parere. E pensare che il prof. Renda valuta la comunità ebraica a Marsala, di antichissimo insediamento, al 1492 ben il 46% della popolazione e, fatto davvero inusuale, di poco diminuita a seguito degli editti spagnoli. Dunque si potrebbe dire anche con solidi riferimenti storico-documentari che quella che vediamo oggi sia la stessa giudecca del 1492, solo ne sono cambiati e solo confessione religiosa degli abitanti.Eppure non una parola perviene dai Beni Ambientali e dalla sua rappresentante di fatto dott. Giglio su cosa sia venuto alla luce dal sottosuolo di S.Maria dell'Idrella e su quale iniziatuive sarabnno, se saranno, prese per evitare lo scempio del garage retrostante. Ebbi occasione nel 2001 di visitare l'interno dell'edificioo che era allora ancora la bottega di un fabbro e non conteneva alcun garage, ma solo uno sterrato sul quale parcheggiava qualche automobilista della zona.
Penso che la Giudecca di Marsala sia un sito di enorme interesse storico e come tale dovrebbe essere trattato da chi dice di averne la responsabilità

-Maria Russo Dixon
Una tragedia medievale


L’espulsione degli Ebrei di Sicilia
di Santo Catarame
San Fratello prov. Messina, Festa dei Giudei
È il 18 giugno 1492, un editto di Ferdinando il cattolico impone senza condizioni che gli ebrei devono abbandonare per sempre la Sicilia entro tre mesi, pena la morte.
Gli ebrei erano vissuti in Sicilia dai tempi biblici e in ogni modo la Trinacria era stata una delle terre più importanti dove si erano fermati, partiti dalla Palestina all’inizio della diaspora nel 70 d.C. La Sicilia è stata abitata, fino all’anno 1492, da un numero d’ebrei, in percentuale alla popolazione residente, superiore a quelli presenti in qualsiasi altra regione o stato europeo o del bacino del mediterraneo. Le percentuali di presenza nel territorio siciliano purtroppo non sono certe, ma esse oscillavano da un minimo del cinque percento per città ad un massimo del cinquanta percento, che si raggiunse nella città di Marsala. La cifra approssimata più esatta dovrebbe uscire da nuovi studi, controversa è la stima che fanno diversi storici. Ferdinando il cattolico e Isabella di Castiglia presero una decisione grave e così importante che in seguito ebbe sviluppi tragici nell’economia del regno spagnolo e in Sicilia allora già vicereame.
Nel 1492 Ferdinando il cattolico era entrato vincitore nella città di Granada: aveva vinto la guerra di reconquista contro i musulmani. La Spagna era stata liberata definitivamente dall’infedele popolo arabo. Gli ebrei avevano finanziato la guerra di Ferdinando il cattolico contro i mussulmani di Spagna, ma avevano anche segretamente aiutato economicamente il governo islamico contro lo stesso Ferdinando. Non potevano sottrarsi alle richieste dell’imperatore in quanto, gli ebrei da sempre piccoli e grandi banchieri, erano in ogni caso un popolo sottomesso. Avevano finanziato segretamente il governo musulmano in Spagna perché riconoscevano ai musulmani una disponibilità ed una tolleranza nei loro confronti certamente più favorevole dei governanti cattolici. I fatti storici successivi confermeranno che la preoccupazione non sarà infondata.
Bisogna aggiungere che gli ebrei erano sempre considerati come gli eredi di quel sinedrio che aveva condannato Gesù alla morte. Un pregiudizio che agli ebrei è costato una persecuzione ingiusta e fino ad oggi, viva nell’immaginario collettivo. Perseguitati durante la lunga occupazione della Palestina nel periodo della dominazione romana, perseguitati o mal tollerati dai cristiani dopo che l’imperatore romano Costantino decise, nell’anno 313 d.c. con l’editto di Milano, di considerare per legge la religione cristiana religione di stato, gli ebrei di Spagna e di Sicilia erano sempre in contrasto con i cristiani, gli scontri più sanguinosi avvenivano durante la settimana santa. Le prediche di monaci domenicani e francescani riscaldavano i fedeli che spesso uscivano dalla chiesa e invece di predicare il vangelo iniziavano vere cacce all’ebreo che finivano con violenze e omicidi.
Esempio eclatante di strage avvenne nella città di Modica nel 1478, dove gli abitanti di Modica uccisero numerosi ebrei, numero controverso che alcuni storici fecero arrivare fino a 400. Un antichissimo proverbio raccolto dal Pitrè ricorda ancora che:
pri la Bammina (8 settembre)
lu sangu a lavina (Modica)
(Giuseppe Pitrè seconda raccolta dei proverbi siciliani ed. brancato 2002 pag.151 al capitolo: meteorologia, stagioni, tempi dell’anno).
Quando andava bene i cristiani e gli stessi ebrei si limitavano a sassaiole che qualche storico ha definito “sante”. Gli ebrei erano inoltre particolarmente odiati in quanto praticavano il prestito di denaro su pegno, e segretamente il prestito usuraio con interesse oltre il 10%, che era il limite ammesso in quel tempo dalle autorità spagnole. Una ragione che preoccupava molto i governanti spagnoli, fu che gli ebrei stavano facendo sempre più proseliti fra i cristiani, forse attirati dalle migliori possibilità economiche e dalle attività che gestivano con successo.
C’erano argomenti a sufficienza. Di fronte all’editto di espulsione, se si decideva di rimanere, bisognava chiedere il battesimo e convertirsi definitivamente cristianesimo. Si doveva accettare il Cristianesimo o abbandonare la Sicilia e la Spagna, vendere i beni mobili ed immobili entro tre mesi, oppure rimanere e rinnegare l’antica fede. La quantità d’ebrei che uscita dalla Sicilia non è stata mai accertata neanche con una credibile approssimazione. Si può solo affermare che probabilmente i poveri preferirono cercare nuove terre, molti ricchi ebrei si convertirono apparentemente al cristianesimo.
La vendita probabilmente veniva fatta con premura e con premura non si fanno mai buoni affari specialmente se i compratori sanno la grave situazione in cui si trovano i legittimi proprietari diffidati ad andarsene. Molti andarono a Napoli, altri certamente in nord-africa, nella città di Salonicco, nelle isole del dodecanneso, altri sparsi per il mondo come vuole una tradizione antica e modernissima che vede questo popolo perseguitato ed errante in tutte le direzioni.
Il sultano ottomano inviò in Spagna e Sicilia, a più riprese, un’intera flotta per accogliere come profughi in Turchia i giudei cacciati, questa terra ed in particolare Istanbul sono ancora abitate dagli eredi di Spagnoli e Siciliani emigrati. Non fu solo un atto d’umanità, ma le autorità turche si resero conto della grand’utilità economica che gli ebrei avrebbero significato.
Chi rimase in Sicilia finse d’essere cristiano, ma segretamente cercava di mantenere gli usi, le tradizioni, ma soprattutto di rispettare la religione ebraica e le cerimonie ad essa connesse.
Gli ebrei erano considerati un popolo destabilizzante per il potere spagnolo, non si poteva tollerare che la finta conversione passasse inosservata e impunita, le autorità spagnole temevano veramente il potere economico degli ebrei e la capacità di far adepti per la loro religione per questo erano sottoposti sempre ad imposizioni fiscali a volte addirittura umilianti e le richieste di pagamento dei “balzelli” mettevano a dura prova le loro capacità finanziarie. I governanti spagnoli e non, in tutti i tempi, avevano preso a piene mani dalle tasche degli ebrei. Ricorderemo l’imposta della gezia o jizia creata contro di loro dagli arabi ma mantenuta anche dopo da governanti Normanni. Fino ad oggi a Catania esiste una Via Gisira che non è altro che la strada o il luogo che ricorda dove era riscossa la tassa ad esclusivo carico della comunità ebraica. Nonostante queste risorse economiche sempre disponibili, le autorità spagnole preferirono l’espulsione dai loro territori. Un gesto di fondamentalismo cattolico.
Dopo alcuni anni esattamente nel 1506 fu rinvigorita la santa (?) inquisizione, mai abolita, che da quel momento assunse le caratteristiche d’inquisizione spagnola e che fino ad oggi c’è ricordata come un’istituzione particolarmente severa e spietata nei confronti dei cosiddetti marrani.
Il grande inquisitore Torquemada fu strumento in mano al potere politico, fu il “cattivo” che si scagliava con livore irresponsabile fomentando la crociata antigiudaica. Le crudeltà vere furono condivise dal re Ferdinando che amministrava il potere temporale ultimo, in altre parole applicava la “sanzione” cioè il rogo o pene minori come il carcere, le frustate, la confisca dei beni. I papi e le autorità dello stato pontificio non condivisero la severità dell’inquisizione spagnola, la prova fu che accolsero una quantità notevole di fuggiaschi dalla Spagna e dalla Sicilia. In seguito anche i Papi vennero “alle mani” con gli ebrei di Roma e decideranno la loro espulsione. Espulsioni che si finiranno dopo pochi anni col ritorno degli ebrei. Nell’altalena fra amore e odio, gli ebrei rimasero definitivamente nella città eterna, e, fino ad oggi il ghetto ebraico è un quartiere di Roma con una grande sinagoga.
I siciliani e i catalani fondarono scole o sinagoghe con riti diversi, esistenti in Roma fino all’inizio del 1900. Esistevano in Roma cinque sinagoghe, e una di queste era di rito siciliano. Un incendio, probabilmente non doloso, distrusse dette scole romane nel 1906.
Nel regno di Spagna e nel viceregno di Sicilia, gli ebrei falsamente convertiti scatenarono la reazione dei custodi della fede cattolica. Marrani erano definiti i neofiti ex ebrei che in realtà non avevano mai abiurato veramente, lo scopo degli inquisitori spagnoli e siciliani, era quindi quello di scoprirli. Certamente l’inquisizione spagnola in Sicilia prendeva ad esaminare anche casi diversi come: magia, stregoneria, eresia protestante, blasfemia. Nello studio di Francesco Renda: I marrani in Sicilia (Storia degli ebrei in Italia, ed. Einaudi 1996-vol.1° pag.686) sono evidenziati i dati che seguono e che si riferiscono all’attività dell’inquisizione di Spagna in Sicilia dal 1500 al 1782.
Vi furono in Sicilia 6211 condannati, i giudeizzanti 2098, i luterani 395, i mori e i rinnegati 608, gli eretici vari 100, negromanti e streghe 852. Nello stesso periodo e in altre parole dal 1500 al 1782 i bruciati sul rogo furono 584, quali: 473 giudei, 74 protestanti, 17 mori e rinnegati, 11 eretici vari, 4 obiettori del sant’officio.
Per quanto tempo segretamente fu professata la religione ebraica in Sicilia dopo il 1492, non è facile a determinarsi. Possiamo certificare l’antica presenza ebraica da molti cognomi rimasti in uso fra i siciliani e nomi di strade e toponimi ancora esistenti che certificano la numerosissima presenza di questo popolo. Molti storici si sono interessati alla storia della cacciata degli ebrei di Sicilia cercando di scoprire perché questa tragedia accadde e quanti furono gli ebrei che abbandonarono realmente la Sicilia, le loro case, le attività ben avviate e soprattutto i luoghi dove nacquero e avevano vissuto. Il monaco inquisitore Giovanni di Giovanni nel 1748 e i monaci fratelli Lagumina nel 1885, scriveranno sui giudei di Sicilia con documentata penetrazione. I loro libri diventeranno gli studi da cui partire per le successive ricerche e in ogni modo due libri che sono fondamentali per affrontare quest’argomento. Com’è facile considerare, Giovanni Di Giovanni e Giuseppe e Bartolomeo Lagumina appartenevano al clero cattolico; non misero in buona luce la civiltà ebraica di Sicilia. Le ricerche storiche fino ad oggi continuano ad appassionare e l’argomento non è chiuso, sebbene molti storici, sulle cose e vicende di Sicilia, hanno abbiano approfondito quest’avvenimento.
Tutti riconoscono che la perdita dei giudei di Sicilia fu un fatto grave per l’economia dell’isola. (Denis Mack Smith, Lodovico Bianchini), perché gestivano attività importanti in alcuni casi faticose, ma sempre a buon reddito. Avevano in loro mano buona parte dell’economia commerciale e soprattutto quella bancaria e finanziaria del regno e del viceregno di Sicilia, anche se questo privilegio non era esteso a tutta la comunità giudaica di Sicilia. Oltre all’attività di prestito di denaro e alle attività commerciali, avevano aziende nell’attività della concia delle pelli (cunziria di Vizzini), lavorazione del ferro, lavorazione della seta, coltivazione della canna da zucchero (Savoca), produzione di maioliche (Naso). Numerosi gli ebrei di Sicilia nella professione medica con una presenza sorprendente anche di donne, come l’ebrea Verdimura di Catania e Bella di Paja di Mineo (vedasi a pag 39 del libro: “Medici e medicina a Catania dal quattrocento ai primi del novecento” a cura di Mario Alberghina, ed. Maimone 2001). Le donne non erano solo specializzate in ginecologia. Ben 52 erano le giudecche esistenti con 60 sinagoghe ben localizzate (Studi e ricerche della facoltà d’architettura di Palermo, pag 323 del primo tomo in “Storia degli ebrei d’Italia” ed. Einaudi 2001) e oggi si possono ancora vedere i luoghi che testimoniano la loro presenza se proviamo a fare una passeggiata in Sicilia e cercare di scoprire ciò che è rimasto di questa civiltà, ci sorprenderà la presenza di e le numerose testimonianze ancora visibili. Un resoconto affascinante ed attendibile lo troviamo nel libro di Nicolò Bucaria: “Sicilia judaica”, ed. Flaccovio 1996, un libro d’archeologia medioevale e non di storia.
A queste segnalazioni elenco di seguito testimonianze possibili per considerazioni intuitive o tracce d’attività e nomi di luoghi che fanno sospettare detta presenza.
Palermo era la città con il numero di giudei residenti più numerosi. Una sinagoga tra le più belle e più grandi della Sicilia. Ci rimane un chiaro disegno pubblicato di recente nel libro edito da Einaudi negli annali della storia d’Italia (op.cit. pag 326-327). La sinagoga di Palermo si trovava in Piazza Meschita e il ghetto era compreso tra le vie San Cristoforo, Calderai, Maqueda, Giardinaccio. Gli ebrei nel medioevo siciliano chiamavano “meskita” le sinagoghe, termine utilizzato per rispetto nei confronti dei musulmani che chiamavano e chiamano “moschee” i loro luoghi di culto.
Siracusa città dove era presente un’altra importante comunità, anch’essa limitata e controllata nel ghetto dell’isola di Ortigia, dove fino ad oggi si leggono toponimi che testimoniano la loro presenza. La giudecca si trovava fra strette viuzze medievali vicino l’ex via mastra Rua e via delle maestranze, dove fino ad oggi esistono resti della sinagoga e della vasca dove facevano i bagni rituali le donne ebree. I residui archeologici medioevali sono ancora visibili all’interno di un antico palazzo di proprietà privata. Si conservano a Siracusa pure lapidi di tombe ebraiche nelle catacombe di vigna cassia e nel museo di Palazzo Bellomo.
Messina fu città importantissima nel medioevo e tanti sono le prove documentali archivistiche che si conservano. Per Messina i riferimenti topografici sono più difficili da localizzare per i noti disastri causati da diversi terremoti. La maggiore concentrazione d’ebrei si trovava nel quartiere Paraporto tra il Duomo e il torrente Portalegni e oggi dovrebbe essere lungo Via T.Cannizzaro. La sinagoga di Messina era grande come quella di Palermo aveva forma ad esedra e si trovava dove poi fu costruita la chiesa di San Filippo Neri. Fonti ebraiche parlano di diverse sinagoghe in questa città che non sono facilmente localizzabili. Dopo la cacciata, molti ebrei messinesi si trasferirono ad Istanbul.
Catania è stata città un tempo occupata ampiamente dalla presenza giudea. Dall’attuale Piazza Dante fino a piazza Duomo trovavasi case e sinagoghe ebraiche numerose. Alcuni storici come il Policastro e Gaudioso hanno individuato due ghetti e in altre parole la giudecca di Susu e quella di Jusu con sinagoghe esistenti nell’attuale Via Recupero vicino la chiesa di San Cosmo e Damiano e in Via Sant’Anna. Probabilmente vi erano altre sinagoghe di cui non è certa l’ubicazione. A Catania è accertata una notevole attività legata all’esercizio della professione medica ed anche donne ebraiche esercitavano detta professione, come indicato sopra. Il fiume Amenano, che sotterraneo attraversa ancora oggi Catania, nel medioevo si chiamava Judicello, proprio perché attraversava una parte del grande ghetto di Susu e di Jusu.
Vizzini, aveva il ghetto nell’attuale cunziria che non fu solamente il luogo che vide il duello rusticano fra cumpari Turiddu e cumpari Alfio ma era sede attiva di una conceria ben avviata. Le concerie erano gestite quasi esclusivamente dagli ebrei proprio perché il mestiere era pesante e anche pericoloso in quanto si utilizzavano, nella concia delle pelli, sostanze velenose come il tannino. Vicino la cunziria fino ad oggi trovasi un macello a testimoniare che gli ebrei macellavano alla giudea, in altre parole kasher secondo la prescrizione talmudica, cioè sgozzando l’animale evitando la minor presenza di sangue nelle carni.
Mineo aveva insediamenti sotto la chiesa dedicata a Santa Agrippina, Caltagirone vicino all’attuale galleria Don Sturzo, Piazza Armerina Nel quartiere Piano Canali.
Naso in provincia di Messina, aveva una buona presenza in contrada Batia o Bazia, dove fino ad oggi si leggono nomi di strade che testimoniano quell’insediamento. Nello stesso quartiere di Badia trovasi una chiesa dedicata a Santa Maria della Catena che prima del 1492 era la sinagoga.
Taormina aveva la giudecca vicino porta Catania e la sinagoga quasi accanto al monastero di San Domenico. Dalle cronache del tempo si racconta che la vicinanza della sinagoga creava fastidio ai monaci cristiani, in quanto gli ebrei cantavano forte e disturbavano le liturgie.
Savoca aveva anch’essa una sinagoga i cui resti sono ancora visibili in quella che è chiamata oggi chiesa di San Michele.
San Fratello prov. Messina, Festa dei Giudei
San Fratello ha una contrada che fino ad oggi si chiama Catena e che era la giudecca. Ricordiamo che tutti i toponimi che in Sicilia indicano catena e le chiese di Santa Maria della Catena sono rispettivamente contrade abitate in quel tempo da giudei e sedi d’antiche sinagoghe. Questa affermazione si rileva dal libro dei fratelli Lagumina, codice diplomatico degli ebrei, vol III pag 276, 283, 485, 509, 560. Pertanto Acicatena è il ghetto di Acireale e diverse contrade siciliane ancora così si chiamano e attestano quest’antica realtà. A San Fratello fino ad oggi, durante la settimana santa si festeggia la festa dei giudei. I giudei di San Fratello organizzano un carnevale durante la settimana santa e sembra che prendano in giro Gesù e la passione. In realtà la festa non è altro che il residuo delle sassaiole e manifestazioni di violenza che i cristiani perpetuavano contro i giudei. Trattasi infatti, non di giudei, ma di fanatici cristiani che minacciano gli ebrei, sebbene questi non esistono più a San Fratello, e quindi la manifestazione assume un aspetto strano e anomalo.
Agira: trovasi una parte di un altare della sinagoga in altre parole un aron in stile gotico-catalano, oggi visibile e ricostruito nella chiesa del SS.Salvatore. Fu trasportato nel 1987 dall’oratorio di S.Croce che era l’antica sinagoga d’Agira. La sinagoga ancora è visibile con i muri in parte diroccati, necessita di un buon restauro.
Nel libro di Nicolò Bucarla: “Sicilia judaica”, sono indicati reperti e oggetti di tradizione ebraica in parte ancora rintracciabili e che si riferiscono ai seguenti comuni siciliani: Acireale, Agira, Agrigento, Akrai, Alcamo, Bivona, Caccamo, Calascibetta, Caltabellotta, Caltanissetta, Cammarata, Castelbuono, Castiglione, Castronovo, Castroreale, Catania, Caucana(Rg), Cittadella Maccari(Sr), Comiso, Enna, Erice, Gela, Lentini, Lipari, Marsala, Mazara del vallo, Messina, Monreale, Mozia, Noto, Palermo, Polizzi Generosa, Ragusa, Randazzo, Rosolini, Salemi, San Fratello, San Marco d’alunzio, Santa Croce Camerina, Sciacca, Scicli, Siculiana, Siracusa, Sofiana(Cl), Taormina; Termini Imerese, Trapani.
Santo Catarame
Gennaio 2008

Bibliografia essenziale:
  • Giovanni Di Giovanni, “L’ebraismo della Sicilia ricercato ed esposto”, Palermo 1784;
  • Giuseppe e Bartolomeo Lagumina, “Codice diplomatico dei giudei di Sicilia”, Palermo 1885;
  • Isidoro La Lumia, “Gli ebrei siciliani”, ed. Sellerio. Palermo, 1992;
  • Nicolò Bucaria, “Sicilia Judaica”, ed. Flaccovio 1996;
  • Annali Storia d’Italia Einaudi, “Gli ebrei in Italia”, due tomi, 2004;
  • Attilio Milano, “Storia degli ebrei in Italia”, ed.Einaudi, 1963;
  • Matteo Gaudioso, “La comunità ebraica di Catania nei secoli XIV e XV”;
  • Henri Bresc, “Arabi per lingua ebrei per religione”, ed.mesogea, Messina 2001.

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persecuzioni nella spagna di fine del 1300

Le persecuzioni antiebraiche ebbero inizio in Spagna durante l'interregno del 1391, allorché 4.000 ebrei furono massacrati dai cattolici a Siviglia.Il motivo di questa persecuzione è presto detto. Anzitutto bisogna dire che nel rapporto arabi-ebrei le persecuzioni antisemite durarono solo fino al regno di Omar, il califfato elettivo (632-661), che caratterizzò il periodo del grande espansionismo arabo. Quando gli arabi o i berberi perseguitavano gli ebrei non lo facevano perché questi erano "ebrei" ma perché erano "avversari politici", non meno dei cattolici.
Ebrei di Spagna
Quando l'invasione in Spagna dei fanatici berberi Almohadi, nel 1146, aveva posto fine alla pace assicurata dai califfi di Cordova, gli ebrei erano semplicemente emigrati nella parte già dominata dai principi cristiani, i quali li avevano accolti favorevolmente, proteggendoli e allo stesso tempo sfruttandoli come fonte di reddito. Essendo loro proibita la proprietà terriera, vivevano solo nelle città, dove esercitavano i commerci e il prestito (agli ebrei p.es. era consentito di tenere aperte le botteghe in occasione delle festività religiose, ma anche di effettuare prestiti a interesse, in un'epoca in cui il denaro non veniva ancora considerato un mezzo per ottenere ricchezza).
La popolazione ebraica più numerosa e più prospera, nell'Europa del XIV secolo, era proprio quella spagnola, dove le comunità bene organizzate godevano della protezione particolare dei sovrani di Aragona e di Castiglia.
Grazie a queste condizioni favorevoli gli ebrei di Spagna (1) annoverarono fra loro una quantità di cortigiani, diplomatici, esattori delle imposte, medici, astronomi e molti intellettuali (dagli averroisti dichiarati e dagli esegeti biblici, ai poeti, sino ai traduttori di opere greche, filosofiche e scientifiche, che fecero carriera al servizio dei loro signori e che fecero guadagnare ai propri connazionali il titolo di "mediatori culturali d'Europa").
Alla fine del XV sec. la popolazione spagnola andava da un minimo di 5 milioni a un massimo di 17 milioni di persone. Gli ebrei erano circa 200-300.000 e generalmente vivevano una vita in condizioni assai migliori della grande maggioranza dei contadini e dei pastori spagnoli.
Il modo di comportarsi degli ebrei spagnoli non era molto diverso da quello esistente negli altri paesi europei, con la differenza però che mentre in Spagna dominava una cultura araba relativamente tollerante nei loro confronti, negli altri paesi dominava una cultura cattolica che lo era assai meno.
In campo cattolico le prime persecuzioni, anche se non esplicitamente antisemite, iniziarono proprio in occasione della prima crociata (1095), quella dei diseredati al seguito dei feudatari in cerca di fortuna, diretti verso oriente: lo sterminio delle famiglie ebraiche era semplicemente un modo di arricchirsi o di non pagare i debiti.
Una disposizione canonica del III Concilio Laterano (1179), poco praticata, proibiva agli ebrei e ai cristiani di vivere insieme. E il IV Concilio Lateranense (1215) aveva stabilito che gli ebrei dovevano vivere in quartieri separati e portare un segno di riconoscimento, consistente per gli uomini in cappelli di foggia e colore particolare (giallo o rosso) o un disco di panno sul mantello, mentre le donne dovevano avere un velo giallo sul capo, come le prostitute.
Nel 1242 furono pubblicamente arsi a Parigi ventiquattro carri di manoscritti ebraici di grande valore. Nel 1290 molti ebrei erano già stati espulsi dall’Inghilterra, dalla Normandia nel 1296, nel 1394 dalla Francia.
La peste nera che si diffuse in Europa nel 1348 fu un nuovo motivo di persecuzione. Gli ebrei furono infatti incolpati di diffondere la malattia avvelenando i pozzi, rimanendone essi immuni. Se la prima accusa era falsa, la seconda nasceva da un'osservazione probabilmente fondata: gli ebrei vivevano già raccolti e isolati in un'unica zona della città, seguivano particolari e rigorose norme igieniche per motivi religiosi e perciò la pestilenza non trovava tra loro terreno fertile. La calunnia, che nacque e si diffuse in Germania, provocò massacri e fughe. Molti ebrei fuggirono dal centro Europa e trovarono rifugio anche nell'Italia settentrionale, in particolare nelle comunità di Venezia, Padova, Ferrara, Mantova. Il numero degli ebrei che vivevano in Italia salì allora a circa 50.000 su un totale di 11 milioni di abitanti.
I sovrani spagnoli avevano dunque dei precedenti storici con cui poter legittimare le loro decisioni in merito all'atteggiamento ufficiale da tenere nei confronti della "questione ebraica". Di qui l'esigenza di imporre agli ebrei la conversione al cristianesimo.
A Toledo un esempio di conversione venne dato dall'ex consigliere privato del sovrano di Castiglia Enrico di Trastamara (salito al trono nel 1369), seguito da quasi tutta la comunità. Un ex rabbino convertito al cristianesimo divenne addirittura vescovo a Burgos e membro del Consiglio di Reggenza in Castiglia. Complessivamente le conversioni nei regni d'Aragona e di Castiglia si aggirarono intorno alle 230.000 unità.
Quelli che si convertirono al cattolicesimo (conversos) continuavano a dominare l'economia, la cultura e talora anche le cariche ecclesiastiche, suscitando il rancore dei cattolici di origine non ebraica, che a poco a poco si vedevano sfuggire tutte le posizioni di potere. Il rancore diventava violenza quando, in alcuni casi evidenti, gruppi di conversos mostravano che la loro adesione al cattolicesimo era stata puramente formale e mossa dal desiderio di occupare o di conservare cariche pubbliche o comunque posizioni di prestigio o facoltose, mentre in privato continuavano a celebrare riti giudaici (p.es. il rispetto del sabato o l'astinenza dalle carni di maiale o il digiuno del kippur) o "giudaizzavano" pubblicamente i riti cattolici. P. es. nella cattedrale di Cordoba si celebrava un ufficio dove molti riferimenti culturali erano giudaici.
La persecuzione popolare del 1381, seguita da quella degli anni 1413-14, in occasione della disputa di Tortosa, era la risposta al fatto che gli ebrei si erano trasformati da infedeli esterni alla chiesa cattolica in eretici interni alla stessa chiesa. Gli ebrei caratterizzati da queste conversioni forzate e ambigue venivano chiamati "marrani", dal significato incerto: in ebraico sembra volesse dire "apparenza dell'occhio", cioè "formalismo", ma voleva dire anche "apostata". In lingua spagnola però voleva dire "porco" (animale proibito nella cultura ebraica) e in seguito prese a indicare una persona abominevole, perché credente senza fede.
Dal 1412 i re di Castiglia e di Aragona attuarono una politica di conversioni forzate e per renderla più efficace moltiplicarono i divieti e le pratiche di emarginazione. Decisero infine di introdurre in Castiglia l’Inquisizione già presente in Aragona, proprio per evitare i pogrom, eliminando i focolai di giudaizzazione. Con l’approvazione da parte di papa Sisto IV nasceva così nel 1478 l’Inquisizione spagnola, e già due anni dopo iniziarono i processi contro i giudaizzanti.
Quanti furono i condannati a morte è difficile dirlo. Uno specialista danese, Gustav Henningsen, completato lo spoglio di 50.000 processi che coprono l'arco di 140 anni, ha reperito circa 500 casi di condanne a morte eseguite, cioè l'1%. Lo storico J. A. Llorente registra quasi 32.000 arsi vivi e più di 290.000 condannati al carcere (Histoire critique de l’inquisition d’Espagne, Paris, 1818).
Nel 1492 l'Inquisizione, ritenendo gli ebrei responsabili della sopravvivenza del marrano, propugna una soluzione "radicale" e chiede che tutti gli ebrei che non si vogliono convertire vengano espulsi dal paese. Si parla di "cospirazione marrano-ebraica". In sostanza il fallimento dell'Inquisizione porta i sovrani spagnoli a ordinare agli ebrei di convertirsi entro quattro mesi oppure di lasciare la Spagna, rinunciando ai propri beni
Quelli emigrati dopo l'editto reale del 1492 furono da 150.000 a 200.000. Quelli rimasti in Spagna, perché disposti a ricevere il battesimo furono circa 50.000. Molti di questi conversos poi si pentirono, tornarono alle pratiche giudaiche e furono duramente perseguitati dall'Inquisizione spagnola (vedi i cosiddetti "statuti di limpieza de sangre"). Lo storico statunitense Edward Peters sostiene che tra il 1550 e il 1800 vennero emesse 3000 sentenze di morte secondo verdetto inquisitoriale. Il 18 giugno del 1492 venne dato ordine di espulsione anche dalla Sicilia e dalla Sardegna (appartenenti alla Spagna).
Usciti dal paese, circa 120.000 andarono in Portogallo, che aveva allora poco più di un milione di abitanti e dove già esistevano circa 75.000 ebrei. Nel 1497 venne decisa, per ordine del re Manuel I, l’espulsione degli ebrei anche dal Portogallo (ci fu un pogrom a Lisbona nel 1506), dove però l’Inquisizione fu introdotta soltanto nel 1536. Fuggirono verso l'impero turco (Istanbul, Salonicco) e in parte verso i Paesi bassi e l'Italia centrosettentrionale, alcuni persino nel Nuovo Mondo.
La conquista spagnola del Regno di Napoli, nel 1504, segnò la fine delle numerosissime comunità ebraiche dell’Italia meridionale, anch’esse costrette a scegliere tra esilio e nascondimento nel marranesimo.
Dunque dopo più di otto secoli di vita nel paese iberico centinaia di migliaia di persone dovettero abbandonare una terra che sentivano come propria,al cui sviluppo  politico, sociale, economico, linguistico e culturale avevano attivamente collaborato, la cui lingua avevano creato insieme con gli spagnoli e con gli arabi. L'espulsione degli arabi e degli ebrei toglierà alla Spagna per molti secoli l'incentivo a trasformarsi in nazione capitalistica, segnando il suo destino nelle guerre contro i paesi più avanzati d'Europa.

martedì 4 ottobre 2011

Antisemitismo

Shoah, giorno della memoria
“...voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
considerate se questo è un uomo...
senza più forza di ricordare”.
 
Così scriveva Primo Levi, nel tristemente celebre prologo di Se questo è un Uomo, il libro autobiografico scritto a testimonianza dell'anno trascorso nel campo di concentramento di Auschwitz. La forza e la disperazione degli uomini e delle donne vittime della persecuzione e dello sterminio nazista è ricordata nella Giornata internazionale della Memoria.

Levi (morto nel 1987 all'età di 67 anni cadendo dalle scale di casa, o fu un suicidio?) era un italiano di fede ebraica. Fu deportato e nel suo libro racconta le inimmaginabili sofferenze patite nei campi di concentramento, da lui in prima persona, e da tanti altri suoi compagni. Solo per avere un'idea della sofferenza fisica e psicologica patita dagli internati nei campi riportiamo alcuni dati sulla razione quotidiana alimentare che veniva loro data:
-  a colazione il detenuto riceveva circa mezzo litro di una specie di caffè a base di erbe;
- a pranzo veniva dato circa un litro di minestra senza carne, spesso con verdure avariate;
-  a cena circa 300 gr di pane nero duro.
In tutto una razione da circa 1500 calorie, poco in assoluto, niente considerando il lavoro pesante che veniva svolto da mattina a sera. Spesso sopraggiungeva la morte per fame. Alcune fotografie scattate dopo la liberazione del campo mostrano detenute sfinite che pesavano dai 23 ai 35 Kg.
Qualche data per ricordare: Hitler salì al potere nel 1933 e nello stesso anno nacque il primo lager, quello di Dachau; nel 1935 l'antisemitismo divenne legge con le Leggi di Norimberga; nel 1939 gli ebrei della Polonia furono rinchiusi nei ghetti; nel 1940 fu aperto il lager di Auschwitz.
La parola chiave per comprendere, se così si può dire, i fatti dell'epoca, è antisemitismo. Per antisemitismo s'intende un atteggiamento persecutore, un insieme di pregiudizi, un'ostilità, un odio profondo nei confronti degli ebrei dovuto a motivazioni religiose, razziali e culturali. L'antisemitismo, pur totalmente assurdo, è in sé anche illogico in quanto Gesù nacque, visse e morì da ebreo. Ebrei erano i 12 apostoli. E allora? Da cosa naque questa follia? Da una malvagità genetica di alcuni esseri umani? O dalla loro superficialità e mediocrità (come sostiene Hannah Arendt nel suo famoso saggio “La banalità del Male”?
Primo Levi, nella sua opera letteraria, nel cercare di spiegare l'odio dei nazisti contro gli ebrei, descrive l'antisemitismo come un fenomeno d'intolleranza:
“...l'avversione contro gli ebrei, impropriamente detto antisemitismo, è un caso particolare di un fenomeno più vasto e cioè dell'avversione contro chi è diverso... l'antisemitismo è un tipico fenomeno di intolleranza.” (ricordiamo che, nonostante la stragrande maggioranza di vittime fosse ebraica, lo sterminio nazista è stato attuato anche nei confronti di comunisti, omosessuali, testimoni di Geova, chiunque fosse a loro contrario).
Testimonianze di casi di “oscuro pregiudizio” verso gli ebrei e la religione ebraica, erano già in essere nel mondo antico. Gli antichi greci vietavano per esempio alcune usanze praticate dagli ebrei (circoncisione, Sabbath e libri di religione ebraica). Ad Alessandria d'Egitto, nel III secolo a.C., vi furono violente manifestazione anti-ebraiche, che portarono alla morte di migliaia di ebrei. Successivamente con la diaspora (la dispersione del popolo ebraico dalla Palestina) dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme da parte dell'Imperatore romano Tito. Dalla diaspora in poi gli ebrei sono un popolo senza patria. Si costituirono diverse colonie ebraiche lungo le coste del Mediterraneo. Ovunque andarono gli ebrei si dimostrarono abili professionisti, soprattutto nel campo della contabilità e del commercio. Furono accusati anche di tramare contro gli interessi dei paesi che li ospitavano. Il fenomeno assunse i connotati d'intolleranza vera e propria con l'affermarsi del Cristianesimo come religione di stato. La causa di tanta intolleranza da parte dei cristiani venne identificata nel non riconoscimento da parte degli ebrei di Gesù come Messia e nel fatto di essersi macchiati collettivamente della stessa morte di Gesù, per tale motivo come scrisse lo stesso Levi citando Sant'Agostino “...la loro [degli ebrei] presenza è necessaria alla chiesa cattolica affinché sia visibile ai fedeli la meritata infelicità degli ebrei”. Solo nella seconda metà del Novecento la Chiesa cattolica, con il Concilio Vaticano II e la Nostra Aetate, ha eliminato accenni ed espressioni di carattere antigiudaico.
Uno dei motivi principali dell'odio verso gli ebrei era certo di tipo economico; vietando difatti il Cristianesimo il prestito per interessi, furono gli ebrei i primi banchieri, a cui si rivolsero aristocratici e regnanti per ottenere prestiti. Ricchi e colti, coesi tra di loro, gli ebrei furono invidiati e osteggiati. Durante il medioevo spesso gli ebrei si trovarono costretti a convertirsi al cristianesimo (XIII secolo circa); alcuni preferirono nuovi esodi di massa. In Europa fonti storiche testimoniano come tra il 1200 e il 1400, gli ebrei furono espulsi da molti paesi tra cui il Regno Unito, la Francia e l'Austria. Nell’anno 1348 in Europa scoppia la peste e gli Ebrei vengono accusati di essere gli untori. Durante il periodo della grande Inquisizione in Spagna gli ebrei Sefarditi spagnoli fuggirono e si rifugiarono in particolare nei Paesi Bassi dove fecero la ricchezza dell’Olanda e delle Fiandre. Maria Teresa d'Austria, che dapprima ordinò l'espulsione degli ebrei dalla Boemia, in un contrordine forzò ogni cittadino ebraico al pagamento di una penale di valore decennale per essere riammesso (il cosiddetto Malke-geld); successivamente promulgò una legge che limitava la famiglia ebraica ad un solo figlio.
In Italia gli ebrei incominciarono a concentrarsi in determinati quartieri cittadini, che presero il nome di giudecche e che diventarono successivamente dei veri e propri ghetti (luoghi di raggruppamento forzato).
Le Leggi di Norimberga sancirono la persecuzione sistematica degli ebrei. Fu impedito loro di partecipare alla vita pubblica, di esercitare le libere professioni, gli fu vietato di andare in cinema, teatri, ristoranti, furono obbligati a portare la stella di David cucita sui vestiti. Nel 1938 anche in Italia furono promulgate le leggi razziali, che emarginarono gli Ebrei dalla vita politica, sociale ed economica.
L'epilogo che tutti conosciamo è l'Olocausto: sei milioni di ebrei morti tra il 1941 e il 1944. Un Genocidio generato dall'Antisemitismo, ma anche dalla superstizione, dall’ignoranza e anche dal fattore economico (un tentativo di frenare anche il potere economico di un popolo, di minare l'intraprendenza e la coesione coesione sociale tra ebrei).
 
"...forse, quanto è avvenuto non si può comprendere, non si deve comprendere, perché comprendere è come giustificare...;
ma dobbiamo capire [da] dove nasce, e stare in guardia.
Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre”.
 
P. Levi


Leggi tutto: http://www.informagiovani-italia.com/antisemitismo.htm#ixzz1ZpZgiHbe

venerdì 30 settembre 2011

Un treno per vivere

ILfilm comincia con la apparizione di Shlomo e l'inizio del suo racconto che vedrà protagonista il villaggio dove vive e la sua salvezza. La storia si sviluppa quasi integralmente come un flashback ambientato in uno shtetl (villaggio ebraico dell'Europa dell'Est) nel 1941. La rottura dell'equilibrio si ha quando Shlomo, il pazzo del villaggio, avvisa i suoi compaesani che nei villaggi vicini gli ebrei stanno venendo deportati dai militari nazisti. Si riunisce così il consiglio degli anziani che, grazie ad un'idea di Shlomo, decide di organizzare un finto treno di deportazione che accompagni tutto lo shtetl in Palestina passando per l'Unione Sovietica. Ci si divide i compiti tra le parti dei militari nazisti, dei deportati e del macchinista, grazie anche al lavoro di falegnami, sarti e a Schmecht, insegnante ebreo di tedesco accorso per istruire i finti soldati nazisti. Giacché i villaggi vicini iniziano a sospettare qualcosa, gli abitanti anticipano la partenza per una "auto-deportazione" su un vecchio treno, rimesso in sesto in modo da sembrare una vera vettura nazista, con tanto di vagoni per deportati e vagoni-letto per i soldati. Sulla via incontreranno non poche difficoltà, facendosi più volte scoprire e fermare dalle forze militari dell'Asse; tuttavia, grazie a rocamboleschi espedienti, riescono di volta in volta a scamparla.
Presto cominciano a sorgere problemi persino all'interno della comunità, dove ebrei deportati, ebrei convertiti al credo comunista ed ebrei-nazisti cominciano a dar vita ad una serie di grotteschi battibecchi legati ai diritti degli insoliti viaggiatori del treno, arrivando perfino al punto in cui i comunisti designano i soviet dei vagoni di deportazione, in opposizione alla politica "dal braccio di ferro" di Mordechai, il mercante di mobili a capo dei finti nazisti. Ma gli abitanti dello schtetl non ingannano solo i militari tedeschi: per tutta la durata del viaggio, dei sabotatori della resistenza comunista tenteranno di far saltare il treno, credendolo un vero treno di deportazione, sia pur con scarsi risultati. Proprio quando sembrano essere scoperti da una truppa tedesca, la compagnia di ebrei si unisce ad una carovana di zingari i quali, travestiti da tedeschi, avevano fermato per un controllo il "treno fantasma". Lo squinternato treno riesce a raggiungere il confine sovietico, trovando la tanto sognata "salvezza" ed essendo finalmente liberi di ritornare nella terra promessa. Alla fine della storia, Shlomo racconta di come alcuni siano rimasti nell'Unione Sovietica per sposare la causa comunista, altri fossero tornati in Palestina (principalmente gli zingari) ed altri ancora avessero preferito andare in India (soprattutto gli ebrei).

Finale [modifica]

Negli ultimi fotogrammi Shlomo aggiunge: «Questa storia è vera... o quasi» e, dopo un allargamento di inquadratura, lo si può vedere sorridente dietro al filo spinato di un campo di concentramento, facendo capire che quella surreale e divertente storia fosse solo un espediente per raccontare la tremenda realtà dell'olocausto.

Scelta di stile [modifica]

Il film è denso di momenti comici e grotteschi che affrontano i delicati temi dell'olocausto e del nazismo in maniera insolita e pioneristica rispetto a qualunque altro film che parli della Shoah, ma profondamente rispettoso di ciò che ha rappresentato quella pagina nera della storia europea. Le colonne sonore, a cura dell'artista bosniaco Goran Bregovic, rendono bene il tipo di ambientazione, dando un'impressione quasi fiabesca del naturale svolgersi della trama del film.

Collocazione di genere [modifica]

Nonostante per tutta la durata del film prevalga un registro cinematografico più vicino alla commedia, o addirittura al comico, molti archivi o recensisti del mondo del cinema hanno preferito collocare quest'opera all'interno del genere drammatico. Questa scelta, quando viene adottata, trova giustificazione esclusivamente negli ultimi secondi del film, in cui il finale crudo diventa il vero elemento discriminante, nonostante il resto della pellicola possegga, in realtà, un registro completamente diverso.

Ambientazione [modifica]

Il film è stato girato a Bucarest, in Romania.
Clicca il link per vederlo:
TRAIN DE VIE