mercoledì 5 ottobre 2011

Giudecca (CHINISIA) a Marsala

La presenza di una comunità ebraica nella nostra città, già in età romano-imperiale, è attestata
dal rinvenimento di alcuni oggetti decorati col candelabro a sette bracci, la Menorah, simbolo
del popolo ebraico. Ma i primi documenti relativi a cittadini marsalesi di religione ebraica
risalgono agli inizi del XIV secolo. Da essi apprendiamo che la comunità giudaica marsalese
non viveva chiusa in un ghetto, come accadeva altrove, ma era volontariamente concentrata in
un’area grosso modo compresa tra le odierne piazzetta Fratelli Chirco, via Frisella, via Diaz,
piazza S. Francesco, via XIX luglio e via S. Michele. La sinagoga si trovava. nella
piazza Fratelli Chirco (allora chiamata piazza dei giudei) ed aveva l’ingresso in un grande cortile
di via D’Anna; il cimitero si trovava fuori città nell’area compresa tra le vie Bilardello, La Rosa e
Mazzini; il luogo di purificazione delle donne, anch’esso fuori città, si trovava tra le attuali vie IV
aprile e Volturno. Gli Ebrei marsalesi si dedicavano in modo particolare al commercio, sia quello
in grande ad ampio raggio sia quello locale al minuto. La produzione e il commercio del vino
erano attività assai diffuse e praticate. Ma essi non disdegnavano neanche le attività artigianali:
la produzione e la tintura dei tessuti, la lavorazione dei metalli, ferro e oro in particolare, e la
produzione del salnitro. Non praticavano, invece, il prestito ad usura, come erano soliti fare i
loro correligionari dell'Europa orientale. E questo spiega l'assenza di un antisemitismo siciliano
di massa. Infatti non si possono mettere sullo stesso piano i pogrom dell’Europa dell’est
(sommosse popolari antiebraiche che davano luogo a massacri e saccheggi) con le sassaiole
cui erano fatti oggetto gli Ebrei marsalesi, su istigazione di frati predicatori rozzi e intolleranti, in
occasione di alcune feste religiose. In particolare, nel giorno di S. Stefano, i Giudei di Marsala
erano costretti ad andare nella Chiesa Madre, per assistere alle funzioni sacre e alle prediche
che avevano lo scopo di farli convertire al cattolicesimo. All'uscita di solito erano ingiuriati e
presi a sassate da gruppi di scalmanati cristiani, che volevano in tal modo vendicare la
lapidazione di Santo Stefano. Contro tale barbara usanza gli Ebrei di Marsala protestarono più
volte fino a quando il re Martino nel 1400 condannò ed abrogò quella malvagia consuetudine.
Sotto il governo dei sovrani aragonesi gli Ebrei non potevano acquistare e possedere schiavi
cristiani, ma soltanto quelli mori; era proibito esercitare qualsiasi ufficio pubblico, prestare opera
di medici a favore dei cristiani, vendere medicine, e comunque, mostrare familiarità con i
cristiani. Nonostante le limitazioni dei diritti e le persecuzioni cui talvolta era sottoposta, la
comunità giudaica marsalese nel XIV secolo ci appare fiorente e in crescita demografica. Nel
1373, essendo i locali della vecchia sinagoga diventati insufficienti ad accogliere tutti i fedeli, i
magistrati della comunità giudaica chiesero ai loro colleghi cristiani di poter allargare la
sinagoga utilizzando alcuni locali contigui appartenenti alla comunità stessa. Il capitano della
città, Enrico di lu Boscu e i giurati cristiani, dopo aver compiuto un'ispezione e constatata
l'effettiva inadeguatezza dei locali, diedero l'assenso subordinandolo, però, alla conferma regia,
che arrivò poco tempo dopo. Le due comunità di norma convivevano pacificamente e si
dividevano in maniera proporzionale i tributi che la città doveva al re. I Giudei pagavano un
decimo dell’intero importo, giacché essi costituivano un decimo della popolazione. Ma nel 1449,
essendo la comunità giudaica cresciuta, la quota di imposte da loro dovuta, di comune accordo,
fu portata da un decimo ad un sesto. Anche dal punto di vista culturale la giudaica di Marsala
risulta assai vivace: tra il XIV e il XV secolo sei medici giudei marsalesi furono autorizzati ad
esercitare la medicina in tutto il regno.

Nessun commento:

Posta un commento