venerdì 30 settembre 2011

Un treno per vivere

ILfilm comincia con la apparizione di Shlomo e l'inizio del suo racconto che vedrà protagonista il villaggio dove vive e la sua salvezza. La storia si sviluppa quasi integralmente come un flashback ambientato in uno shtetl (villaggio ebraico dell'Europa dell'Est) nel 1941. La rottura dell'equilibrio si ha quando Shlomo, il pazzo del villaggio, avvisa i suoi compaesani che nei villaggi vicini gli ebrei stanno venendo deportati dai militari nazisti. Si riunisce così il consiglio degli anziani che, grazie ad un'idea di Shlomo, decide di organizzare un finto treno di deportazione che accompagni tutto lo shtetl in Palestina passando per l'Unione Sovietica. Ci si divide i compiti tra le parti dei militari nazisti, dei deportati e del macchinista, grazie anche al lavoro di falegnami, sarti e a Schmecht, insegnante ebreo di tedesco accorso per istruire i finti soldati nazisti. Giacché i villaggi vicini iniziano a sospettare qualcosa, gli abitanti anticipano la partenza per una "auto-deportazione" su un vecchio treno, rimesso in sesto in modo da sembrare una vera vettura nazista, con tanto di vagoni per deportati e vagoni-letto per i soldati. Sulla via incontreranno non poche difficoltà, facendosi più volte scoprire e fermare dalle forze militari dell'Asse; tuttavia, grazie a rocamboleschi espedienti, riescono di volta in volta a scamparla.
Presto cominciano a sorgere problemi persino all'interno della comunità, dove ebrei deportati, ebrei convertiti al credo comunista ed ebrei-nazisti cominciano a dar vita ad una serie di grotteschi battibecchi legati ai diritti degli insoliti viaggiatori del treno, arrivando perfino al punto in cui i comunisti designano i soviet dei vagoni di deportazione, in opposizione alla politica "dal braccio di ferro" di Mordechai, il mercante di mobili a capo dei finti nazisti. Ma gli abitanti dello schtetl non ingannano solo i militari tedeschi: per tutta la durata del viaggio, dei sabotatori della resistenza comunista tenteranno di far saltare il treno, credendolo un vero treno di deportazione, sia pur con scarsi risultati. Proprio quando sembrano essere scoperti da una truppa tedesca, la compagnia di ebrei si unisce ad una carovana di zingari i quali, travestiti da tedeschi, avevano fermato per un controllo il "treno fantasma". Lo squinternato treno riesce a raggiungere il confine sovietico, trovando la tanto sognata "salvezza" ed essendo finalmente liberi di ritornare nella terra promessa. Alla fine della storia, Shlomo racconta di come alcuni siano rimasti nell'Unione Sovietica per sposare la causa comunista, altri fossero tornati in Palestina (principalmente gli zingari) ed altri ancora avessero preferito andare in India (soprattutto gli ebrei).

Finale [modifica]

Negli ultimi fotogrammi Shlomo aggiunge: «Questa storia è vera... o quasi» e, dopo un allargamento di inquadratura, lo si può vedere sorridente dietro al filo spinato di un campo di concentramento, facendo capire che quella surreale e divertente storia fosse solo un espediente per raccontare la tremenda realtà dell'olocausto.

Scelta di stile [modifica]

Il film è denso di momenti comici e grotteschi che affrontano i delicati temi dell'olocausto e del nazismo in maniera insolita e pioneristica rispetto a qualunque altro film che parli della Shoah, ma profondamente rispettoso di ciò che ha rappresentato quella pagina nera della storia europea. Le colonne sonore, a cura dell'artista bosniaco Goran Bregovic, rendono bene il tipo di ambientazione, dando un'impressione quasi fiabesca del naturale svolgersi della trama del film.

Collocazione di genere [modifica]

Nonostante per tutta la durata del film prevalga un registro cinematografico più vicino alla commedia, o addirittura al comico, molti archivi o recensisti del mondo del cinema hanno preferito collocare quest'opera all'interno del genere drammatico. Questa scelta, quando viene adottata, trova giustificazione esclusivamente negli ultimi secondi del film, in cui il finale crudo diventa il vero elemento discriminante, nonostante il resto della pellicola possegga, in realtà, un registro completamente diverso.

Ambientazione [modifica]

Il film è stato girato a Bucarest, in Romania.
Clicca il link per vederlo:
TRAIN DE VIE

giovedì 29 settembre 2011

IL patron del marchio SFRUTTo' 180 PRIGIONIERI DI GUERRA

Hugo Boss nazista, la griffe fa ammenda

Mea culpa sul passato del fondatore, raccontato in un libro commissionato dalla stessa casa tedesca

IL patron del marchio SFRUTTo' 180 PRIGIONIERI DI GUERRA
Hugo Boss nazista, la griffe fa ammenda
Mea culpa sul passato del fondatore, raccontato in un libro commissionato dalla stessa casa tedesca

MILANO - Il mea culpa della griffe Hugo Boss sul passato nazista del suo fondatore. Che avesse sostenuto Hitler durante la Seconda Guerra Mondiale fu accertato già all'indomani della fine del conflitto, ma fino ad oggi la famosa casa di moda tedesca aveva sempre dichiarato che Hugo Ferdinand Boss aveva appoggiato il regime dittatoriale solo per salvare l'azienda. Adesso un libro intitolato Hugo Boss, 1924-45, scritto dallo storico Roman Koester, docente all'Università di storia militare di Monaco e commissionato dalla stessa casa d'alta moda, rivela che l’allora patron del marchio d'abbigliamento non solo fu un fervente nazista, ma negli anni della guerra sfruttò nella sua azienda di Metzingen, nello stato del Baden-Wurttemberg, ben 180 prigionieri di guerra (140 francesi e 40 polacchi)
LAVORATORI FORZATI – A distanza di oltre 60 anni, la compagnia ha pubblicato un comunicato sul suo sito web nel quale chiede scusa ed esprime «il suo profondo rammarico verso quelle persone che hanno sofferto un danno e un forte disagio mentre lavoravano nell'azienda di Hugo Ferdinand Boss sotto il regime nazional-socialista». Il libro, che ripercorre la vita del fondatore della compagnia, ricorda che già nel 1933 la sua compagnia era il fornitore ufficiale delle divise del partito nazionalsocialista tedesco e dal 1938 cominciò a produrre anche le uniformi per l'esercito e per le Waffen SS. I prigionieri, racconta il sito web tedesco in lingua inglese The Local furono impiegati da Hugo Boss come lavoratori forzati e furono ospitati in un campo di concentramento costruito vicino alla fabbrica. I detenuti, per lo più donne, vissero in condizioni davvero precarie: l'igiene e il cibo erano scarsi e i ritmi di lavori massacranti. Le loro condizioni cominciarono a migliorare nel 1944, un anno prima della fine della guerra, quando su espressa richiesta di Hugo Boss i lavoratori furono spostati in alloggi più grandi e le razioni di cibo aumentarono.

DOCUMENTI INOPPUGNABILI
- Il professore Koester sottolinea che i documenti raccolti dimostrano inoppugnabilmente che il fondatore dell'odierna griffe fu un fervente nazista: «È chiaro che Hugo Boss non solo appoggiò il partito visto che riuscì a ottenere diversi contratti per la produzioni di uniformi militari, ma che fu un convito sostenitore del movimento politico». Lo storico afferma che l'ideologia del Terzo Reich fu assimilata profondamente dal proprietario dell'azienda tanto che le condizioni dei propri lavoratori furono davvero tragiche: «Possiamo solo ripete che il comportamento verso i lavoratori forzati fu allo stesso tempo severo e coercitivo» taglia corto lo storico. Dopo la fine della guerra Boss fu processo e multato per il suo coinvolgimento nelle strutture naziste. Morì nel 1948 e da allora la sua azienda, poiché le richieste di divise militari andavano sempre più diminuendo, cominciò la produzione di vestiti per uomo, settore in cui divenne prima leader nazionale e poi uno dei marchi più prestigiosi in ambito internazionale.
Francesco Tortora
 
FONTE:http://www.corriere.it/cronache/11_settembre_22/tortora-ugo-boss-scuse-passato-nazista_a802813a-e504-11e0-ac8f-9ecb3bbcc6bf.shtml

La Bmw confessa: Quandt un nazista

Il fondatore della casa automobilistica faceva parte del regime. Nella fabbrica sfruttava 50mila prigionieri

la rivelazione grazie a delle ricerche commissionate dalla famiglia
La Bmw confessa: Quandt un nazista
Il fondatore della casa automobilistica faceva parte del regime. Nella fabbrica sfruttava 50mila prigionieri
Gunther Quandt (Archivi federali tedeschi)
Gunther Quandt (Archivi federali tedeschi)
MILANO- Il passato ritorna. E a volte bisogna farci i conti. Così dopo Hugo Boss, anche il fondatore della casa automobilistica Bmw era nazista e non «una vittima» come aveva fatto credere alla fine della guerra. A rivelarlo uno studio commissionato dai nipoti di Gunther Quandt e che doveva essere «un esercizio di apertura e trasparenza». E hanno voluto esprimere «la più profonda vergogna».
LA RICERCA- Sembra che nei suoi stabilimenti, Quandt senior abbia sfruttato - talvolta fino alla morte - oltre 50mila fra lavoratori forzati, prigionieri di guerra e dei campi di concentramento per la fabbricazione di armi e pezzi d'artiglieria destinati ad Adolf Hitler. Descritto come un imprenditore «senza scrupoli», è riuscito a cavalcare economicamente il periodo nazista a discapito della manodopera ebrea trasformando così la sua azienda in un colosso industriale.
I RAPPORTI CON GOEBBELS- Nello studio si parla di rapporti piuttosto tesi con Joseph Goebbels, ma esclusivamente per motivi personali, dopo il loro divorzio la moglie di Quandt, Magda sposò il capo della propaganda di Hitler che quindi visse con i suoi figli dopo di lui. Persino il figlio Herbert, uno dei protagonisti del «miracolo economico» tedesco del dopoguerra, noto finora per aver salvato la Bmw dalla bancarotta comprandola nel 1959, non esce bene dal nuovo quadro. Anche lui ha sfruttato lavoratori forzati quando dirigeva uno degli stabilimenti del gruppo a Strasburgo alla fine della guerra, e ha persino guidato i lavori di costruzione degli alloggi nel campo di concentramento di Sagan nell'attuale Polonia.
LA REAZIONE- Attraverso quest'opera, gli eredi Quandt, a capo di una fortuna stimata 20 miliardi di euro, hanno voluto esprimere «la più profonda vergogna» per il lavoro forzato, senza tuttavia ripudiare il nonno. «Ci sarebbe piaciuto che fosse un uomo diverso» ha dichiarato Gabriele Quandt, nell'unica intervista rilasciata dopo la pubblicazione della ricerca, al settimanale Die Zeit.

FONTE:http://www.corriere.it/esteri/11_settembre_28/bmw-fondatore-nazista_014d9782-e9d5-11e0-ac11-802520ded4a5.shtml

mercoledì 28 settembre 2011

Federico II e gli ebrei 2^parte

Secondo lo storico di Cambridge "la politica dell'imperatore verso gli ebrei" sarebbe stata "tutt'altro che coerente sia sul piano geografico che su quello temporale. In Germania erano "servi della camera reale", tecnicamente sotto la protezione del sovrano; in Sicilia con il 1231 venne promulgata una complessa disciplina giuridica mirante, sino a un certo punto, a circoscrivere i prestiti a usura praticati dagli Ebrei, mentre al contempo Federico non disdegnava di servirsi a corte di uomini di scienza ebrei. Ancora una volta sarebbe assurdo andare a ricercare con troppa pignoleria segni di concordanza di idee, ancor meno di liberalità intesa in senso moderno. Il diritto romano, la pratica quotidiana e le esigenze della scienza divergevano anziché convergere".
Trattando poi la cultura alla corte di Federico II, considerata "una copia sbiadita dell'opulenta corte normanna e un'ombra della dominazione angioina", un giudizio che mi sembra assolutamente non condivisibile, Abulafia era però costretto a ammettere che l'imperatore svevo, "posto a raffronto del "cristianissimo", isterico, mangia-ebrei Luigi IX di Francia" appare come "uomo di buon senso e moderazione". Infatti, negli stessi anni quaranta del Duecento, in cui Luigi IX "il Santo", dopo una disputa pubblica, fece bruciare a Parigi il Talmud, alla corte di Federico II si svolgevano discussioni serene tra studiosi ebrei e cristiani; l'oggetto era, fra l'altro, l'interpretazione di alcuni brani del Talmud, e a queste discussioni partecipava qualche volta l'imperatore stesso. Ma su questo punto torneremo più avanti.
Lo straordinario interesse di Federico II per le culture non cristiane, sia quella araba che quella ebraica, ma anche per la cultura antica, ha affascinato gli osservatori moderni. Stupisce perciò, che uno studioso così serio come Abulafia, abbia potuto affermare che Federico II sarebbe da considerare "un imperatore medievale", cioè uno tra altri, uomo più del secolo XII che del XIII, insomma un conservatore più che un innovatore. Certamente in alcuni aspetti della sua politica lo svevo era legato a un concetto di potere imperiale che nel Duecento era ormai "superato", data la forza acquisita in Germania dai principi, in Italia dai Comuni e dal papa, in Inghilterra e Francia dalle rispettive monarchie che stavano per diventare Stati nazionali. Naturalmente, lo storico di oggi difficilmente considera Federico "il primo uomo moderno sul trono", come fece Jacob Burckhardt nel 1860, o "il primo europeo di mio gusto", come scrisse Friedrich Nietzsche.
Questi ultimi giudizi non sono però nati dal nulla. Anche dalle ricerche più recenti risulta la straordinarietà dell'apertura mentale di questo personaggio, nelle cui vene correva sangue tedesco, borgognone-lotaringio, normanno-italiano e che era cresciuto in una città multietnica e multiculturale come Palermo. Sia per discendenza che per formazione culturale egli era quindi diverso dai suoi antenati, anche se in alcuni settori della sua attività si muoveva chiaramente sulle tracce dei suoi grandi nonni, Federico I Barbarossa e Ruggero II di Sicilia.
Ma torniamo all'atteggiamento di Federico verso gli ebrei. Sembra opportuno iniziare il discorso partendo da una vicenda, avvenuta nel 1236, che può essere considerata un episodio-chiave per la posizione assunta dall'imperatore svevo verso gli ebrei. Che cosa era successo? Federico, dopo aver soggiornato per quindici anni in Italia, nella primavera del 1235 era tornato in Germania per reprimere la ribellione di suo figlio Enrico (VII) e per preparare una spedizione militare contro la lega lombarda. Mentre si trovava, all'inizio del 1236, nel castello di Hagenau, in Alsazia, una delle regioni preferite dello svevo, davanti al tribunale imperiale fu presentato un caso difficile, cioè l'accusa contro gli ebrei di Fulda di aver ucciso dei ragazzi cristiani.
Le fonti che parlano di questo episodio sono di natura diversa. Abbiamo una fonte documentaria, la sentenza emanata da Federico II (nell'agosto 1236 ad Augusta), e tre fonti cronachistiche più o meno vicine agli eventi. Di queste testimonianze quella risalente più direttamente all'accaduto è la sentenza del 1236, le cui parole certamente non sono state scritte senza l'esplicito consenso dell'imperatore. Qui si legge che a causa dell'uccisione di alcuni ragazzi di Fulda, attribuita agli ebrei di questa città, tutti gli ebrei della Germania erano stati messi in cattiva luce. L'imperatore, per appurare la verità, convocò un'assemblea di principi, grandi, nobili, abati e uomini di Chiesa.
Questi però, "essendo diversi esprimevano opinioni diverse, e si rivelarono incapaci di decidere la questione". Federico decise quindi di avviare un'inchiesta: "Ritenemmo, nella insondabile profondità della nostra coscienza che non si potesse procedere in modo migliore verso gli ebrei accusati del suddetto crimine, se non interrogando coloro che erano stati ebrei e si erano convertiti alla fede cristiana. Costoro, come nemici di coloro che erano rimasti ebrei, non avrebbero taciuto ciò che potevano sapere attraverso loro stessi o attraverso il Vecchio Testamento o i libri mosaici. Noi, benché la nostra coscienza, sulla base dei molti libri che la nostra maestà conosceva, ritenesse ragionevolmente accertata l'innocenza dei detti ebrei, per la soddisfazione sia della popolazione priva di cultura che del diritto abbiamo preso una decisione lungimirante e saggia; in accordo con i principi, i grandi, i nobili, gli abati e gli uomini di Chiesa abbiamo quindi inviato a tutti i sovrani delle regioni dell'Occidente messi speciali, attraverso i quali far venire dai loro regni alla nostra presenza il numero più grande possibile di neofiti pratici della legge ebraica".
Arrivati questi neofiti alla corte imperiale, fu loro chiesto se ci fosse un motivo per cui gli ebrei avrebbero avuto bisogno di sangue umano e per cui quindi avrebbero potuto essere indotti al menzionato crimine. Risultò che né nel Vecchio né nel Nuovo Testamento era scritto che gli ebrei avessero bisogno di sangue umano. Anzi, al contrario, risultò "dalla bibbia che in ebraico è detta Berechet (cioè Bereshìt [In principio], la prima parola del Pentateuco, vale a dire della Torah), dai precetti dati a Mosé e dai decreti giudaici detti in ebraico Talmilloht (cioè Talmud) che dovevano evitare di macchiarsi di qualsiasi tipo di sangue". In considerazione del fatto – si conclude la sentenza – che è improbabile che coloro, a cui è vietato il sangue di animali, avessero sete di sangue umano e mettessero per ciò in pericolo i loro beni e le loro persone, l'imperatore decretò che tanto gli ebrei di Fulda che del resto della Germania fossero prosciolti da un'accusa così infamante. 
Un Talmud, il complesso dell'esegesi della Legge orale ebraica (la Mishnah), raccolto in due compilazioni: il Talmud palestinese o di Gerusalemme (IV secolo d. C.) e il Talmud babilonese (V secolo d. C.).
 

martedì 27 settembre 2011

1^parte

Federico II e gli ebrei (vedi nota 1 
Attilio Milano ha scritto nella sua "Storia degli ebrei in Italia": "se la vita degli ebrei meridionali ebbe un periodo completamente fausto, esso coincise con l'ultimo venticinquennio del regno di Federico II. In questo quarto di secolo, il sovrano svevo non solo seppe mettere integralmente a profitto le doti commerciali dei suoi ebrei ed in tale senso li tenne in gran conto, ma egli stesso ne studiò e ne diffuse grandemente il patrimonio spirituale e culturale [...]. Pregiandoli quali uomini di tradizione, di pensiero, di azione, riconobbe loro il massimo della dignità cui potevano ambire".
Per Milano Federico II "fu il più illuminato e il più combattuto monarca del suo tempo", il quale avrebbe dato al Mezzogiorno d'Italia "mezzo secolo di floridezza economica, di assestamento politico e giuridico, di fervore artistico". Inizialmente accondiscente alla Chiesa romana, l'imperatore, nel 1221, avrebbe introdotto, seguendo le disposizioni del quarto concilio lateranense (1215), un segno distintivo per gli ebrei.
Figura del sovrano svevo, dal "De Arte Venandi cum Avibus".
Ma quando i rapporti tra Federico II e il papato entrarono in crisi, lo svevo avrebbe mostrato "il suo veritiero, benevolo volto verso gli ebrei, da lui considerati strumenti essenziali per l'attuazione delle riforme introdotte dal suo governo. Egli fu il primo reggitore in Europa che concepì ed attuò una organizzazione di stato centralizzata e controllata, in cui tutto il movimento economico e finanziario del paese doveva raccogliersi nelle mani del sovrano e della burocrazia a lui sottoposta. Così furono considerati monopolio dello stato sia tutto il commercio con l'estero sia alcuni rami del commercio interno e dell'industria; e parimenti fu istituita una vasta rete di fiere, specie nella parte continentale del regno. In questo ordinamento statale accentrato, è chiaro il motivo per cui Federico tenesse particolarmente a vedere inseriti e attivi gli ebrei: non solo per le loro specifiche doti mercantili, ma anche perché, agendo essi stessi come un corpo internamente organizzato, risultava più facile guidare e controllare la loro attività".
Secondo Milano l'attività commerciale degli ebrei sarebbe stata agevolata al tempo di Federico II oltre che dalle fiere da lui istituite anche dalla "relativa sicurezza delle strade" che "facilitava lo spostamento di persone e di merci da luogo a luogo". La costruzione di una nuova sinagoga a Trani, avvenuta nel 1247, era, per Milano, un chiaro indizio della fioritura delle comunità ebraiche meridionali durante gli ultimi decenni del governo di Federico II, da considerare quindi per gli ebrei un "periodo completamente fausto".
Una diversa valutazione dell'atteggiamento di Federico II verso gli ebrei è stata espressa da David Abulafia. Secondo lo storico inglese ci sarebbero delle "questioni" che potrebbero "gettare un velo di dubbio sulla tolleranza di Federico – elogiata da molti storici – nei confronti degli Ebrei". E a questo punto Abulafia cita la legislazione federiciana del 1221 riguardante gli ebrei e le prostitute: "Entrambe le categorie dovevano indossare abiti atti a distinguerle (sia pur diversi tra loro) e ai giudei era fatto obbligo di farsi crescere la barba, mentre le prostitute, costrette a vivere all'esterno della cinta muraria, potevano recarsi in città ed essere ammesse un giorno la settimana ai bagni pubblici". Secondo Abulafia, "nell'ottica di Federico" sarebbe stata "evidente" la "connessione tra Ebrei e meretrici: due gruppi marginali che minacciavano, a suo giudizio (o piuttosto a quello delle sue fonti tardo-romane e canoniste), di "contaminare" la società cristiana in cui erano inseriti".

Ebrei e denaro:La storia..

Intorno al1000 in tutti i comuni cristiani vengono istituite le Corporazioni di arti e mestieri, per appartenere alle quali bisognava professare la fede cristiana; da questo momento gli Ebrei, esclusi da ogni a campo di attività, sono sospinti verso l’unica professione preclusa ai Cristiani: quella di banchieri (come è noto, la Chiesa proibisce di prestar denaro a interesse). La vita degli Ebrei subisce un mutamento radicale; non solo in Italia, ma in tutta Europa: facendo commercio di denaro si rendono necessari ovunque, ed è per questa sola ragione anche che ovunque sono tollerati. Gli Ebrei di Roma possono considerarsi i pionieri di questa nuova attività economica: i banchi di credito.
Questo mestiere veniva esercitato anche da Cristiani, specialmente italiani; ed è perciò che essi erano chiamati Lombardi, nome dato loro nei paesi d’oltre Alpe, sebbene fossero prevalentemente toscani e soprattutto fiorentini; ma dopo il III Concilio Lateranense (1179), in cui si era stabilito che fosse negata sepoltura cristiana a chi prestava denaro a interesse, gli Ebrei si resero più che mai necessari, e il loro lavoro aumentò considerevolmente. Si formarono così a tante piccole Comunità scaglionate in tutto il Paese; non c’era centro dell’Italia settentrionale o centrale che non avesse una Comunità ebraica. I rapporti tra gli Ebrei e il Comune o il Signore della città che li ospitava erano regolati da un contratto chiamato condotta. Con la condotta il Signore (o il Comune) garantiva agli Ebrei protezione, libertà di culto e il permesso di aprire banchi di pegni (i debitori lasciavano in pegno al banchiere qualche oggetto, che veniva restituito all’estinzione del debito; oppure, se questo non avveniva, era messo in vendita); in cambio gli Ebrei dovevano pagare forti tasse, che venivano detratte dai proventi degli interessi, il cui tasso era fissato dal 15 al 25%. Tra le varie clausole della condotta c’era questa: gli Ebrei dovevano tenere un registro dei conti. Secondo la consuetudine del tempo, gli Ebrei scrivevano in italiano con caratteri ebraici (anche in altri Paesi gli Ebrei scrivevano nella lingua nazionale con caratteri ebraici); questo fino a quando papa Paolo IV con la bolla Cum nimis absurdum (1555) proibì agli Ebrei di servirsi di tali caratteri per i loro registri.
Il IV Concilio Lateranense (1215), convocato da papa Innocenzo III, ordina che gli Ebrei viventi nei paesi cristiani portino come contrassegno una rotella di stoffa gialla cucita sulla parte sinistra del petto. Già nel 600 il Califfo Omar aveva ordinato che tutti i non mussulmani (ossia ebrei ed anche cristiani) viventi nei paesi arabi portassero una pezza di stoffa gialla cucita sul petto o sulla schiena. Ed ora papa Innocenzo III, dopo aver tentato ripetutamente e sempre inutilmente di convertire gli Ebrei, pensò di isolarli imponendo questo contrassegno (che per le donne era un velo giallo, il contrassegno delle meretrici). Il primo paese cristiano che impose agli Ebrei il "segno giudaico", fu l’Inghilterra (1218). In Italia tale disposizione fu adottata in epoche diverse secondo gli Stati; prima ad adottarla fu Venezia: una rotella gialla sostituita in seguito da un cappello giallo.

Primo ritorno in palestina...

Così gli ebrei superstiti furono indotti a pensare, a partire dal 1000-1200, che se poteva essere legittimo per i cristiani un diritto alla conquista di terre sotto il pretesto che si trattasse di quelle in cui era nata la loro religione, legittimazioni del genere potevano valere a maggior motivo per loro: che in Palestina avevano avuto, prima dei romani, un territorio e un regno e, appunto, la culla della loro cultura religiosa. Per la prima volta cosi, nell’ebraismo, la nostalgia degli esuli si trasforma, da dato morale e affettivo, in aspirazione territoriale. E sono appunto dell’epoca immediatamente successiva alle crociate le prime emigrazioni in Palestina di gruppi organizzati di ebrei, numericamente certo piccolissimi, che si trasferiscono in Terra Santa per abitarvi e per lavorarvi, e quindi per prendervi un determinato possesso territoriale, sia pure col solo fatto di risiedervi, naturalmente in amicizia ed armonia con le popolazioni musulmane locali. Tolti questi episodi, la storia più antica conosce, dalla caduta dello Stato ebraico in Giudea, due sole brevi fasi in cui 1’ebraismo, anziché "Diaspora" (dispersione, ossia esilio) e raggruppamento di minoranze in paesi stranieri, è riunione del popolo di Abramo in un territorio autonomo e in una religione nazionale: sono il "regno ebraico della Yemen", fra il V e il VI secolo, retto intorno a un nucleo ebraico da arabi convertiti, e, in Russia fra 1’VIII e il X secolo, il regno dei cazari, turco-rnongoli essi pure convertiti

sabato 24 settembre 2011

1096 la prima grande strage:WORMS

Lo storico medievale Alberto d’Aix racconta nella sua Historia hierosolymitana (Xl secolo) la strage di Worms del maggio 1096, compiuta in occasione della prima crociata.


Là il conte Emicho, un nobile potentissimo in quella regione, aspettava con una forte schiera di tedeschi l’arrivo dei pellegrini che confluivano sulla via reale da parecchie direzioni. Gli ebrei di quella città, avendo saputo della strage dei loro fratelli e comprendendo di non poter sfuggire a una così forte schiera, si rifugiarono sperando di essere salvati i presso il vescovo Rotardo e gli affidarono in custodia i loro enormi tesori e la loro stessa fiducia. Il presule nascose con cura il molto denaro affidatogli e sistemò gli ebrei in quel medesimo nascondiglio nella sua stessa dimora.
Ma Emicho e gli altri, consigliatisi, assalirono sul far dell’alba gli ebrei in quel medesimo nascondiglio con lance e frecce. Uccisero anche le donne e passarono a fil di spada perfino i bambini d’ambo i sessi. Allora gli ebrei, vedendo che i cristiani non risparmiavano neppure i piccolini e non avevano pietà per nessuno, si gettarono essi stessi sui fratelli, sulle donne, sulle madri, sulle sorelle e si uccisero vicendevolmente.



La prima crociata 2^parte

1096: la Crociata dei tedeschi

1096: la persecuzione degli ebrei

La predicazione della prima crociata ispirò un focolaio di antisemitismo. Ma perché gli ebrei furono attaccati? Gli ebrei avevano avuto un posto particolare e imbarazzante nell'Europa medievale. Essi erano sempre considerati come estranei, stranieri all'interno delle piccole comunità che componevano le città medievali. Erano stati incoraggiati a stabilirsi nelle città renane dai Vescovi e dagli Imperatori e le loro pratiche di prestito di denaro davano alla gente del posto una scusa per odiare gli ebrei.
Le loro pratiche religiose e culturali facevano considerare gli ebrei un popolo a parte e, mentre gli ebrei erano legalmente protetti dalle autorità locali, in realtà in alcune parti della Francia e della Germania, gli ebrei erano percepiti come un nemico altrettanto che i musulmani: erano ritenuti responsabili della crocifissione di Gesù ed erano più immediatamente visibili che i lontani musulmani.
  Nel 1096, con l’eccitazione delle Crociate, molta gente si chiedeva perché avrebbero dovuto viaggiare per migliaia di chilometri per lottare contro i non credenti, quando li avevano così vicini a casa loro.
E’ anche probabile che i Crociati erano motivati da loro bisogno di soldi. Gli ebrei della Renania erano relativamente ricchi, sia a causa del loro isolamento, sia perché potevano praticare l’attività del prestito, proibito ai cristiani.
Molti Crociati dovettero indebitarsi per l’acquisto di armi ed attrezzature per la Crociata e, visto che il cristianesimo proibiva l’usura, molti di loro inevitabilmente si trovarono in debito con gli usurai ebrei. Dopo aver acquistato le armi caricandosi di debiti, i Crociati convenientemente razionalizzarono che l’uccisione di ebrei era una estensione della loro missione cristiana.

un crociato si indebita per acquistare le armi
Non c’era mai stato un movimento così vasto contro gli ebrei fin dal 7° secolo con le espulsioni di massa o le conversioni forzate. Atri movimenti contro gli ebrei (come le conversioni forzate fatte dal Re di Francia Roberto il Pio, da Riccardo II, duca di Normandia, e da Enrico II del Sacro Romano Impero circa 1007-1012) erano state annullate dal Papa o dai suoi Vescovi.
Ma la passione suscitata nella popolazione cristiana alla chiamata per la crociata, fece di questa persecuzione degli ebrei, un nuovo importante capitolo della loro storia.
Malgrado il fatto che l’Imperatore Enrico IV avesse emesso un ordine che vietava le persecuzioni, la gente riteneva che, prima che “una guerra in nome del Signore” potesse essere combattuta, era necessario che gli ebrei si convertissero. Ecco quindi che nei mesi di giugno e luglio di 1095 le comunità ebraiche della Renania (a nord delle aree di partenza principale a Neuss, Wevelinghoven, Altenahr, Xanten e Moers) furono attaccate; molti ebrei fuggirono verso est per sottrarsi alle persecuzioni
questo momento arrivarono al Reno le migliaia di membri francesi della Crociata del Popolo, ed oramai avevano esaurito le loro provviste. Per rifornirsi cominciarono a saccheggiare le proprietà ebraiche e contemporaneamente tentarono di costringerli a convertirsi al cristianesimo. Non tutti i Crociati che avevano esaurito le loro scorte ricorsero all’omicidio; in quest’occasione Pietro l’Eremita, non predicava contro gli ebrei, ma li esortò a fornire il cibo ai suoi uomini.
Gli ebrei erano così terrorizzati dalla comparsa di Pietro che prontamente accettarono di fornire tutto quello che occorreva. Ma, a prescindere dalla posizione di Pietro sulla ebrei, gli uomini che lo seguivano si sentirono liberi di massacrare gli ebrei di propria iniziativa e saccheggiare i loro beni.
A volte gli ebrei sopravvissuti venivano sottoposti al battesimo forzato, come a Ratisbona, dove una folla crociata costrinse la comunità ebraica a raggiungere il Danubio, ed eseguì un battesimo di massa.
La gerarchia della Chiesa cattolica nel suo insieme condannava la persecuzione degli ebrei nelle regioni colpite, ma la loro protesta ebbe poco effetto.
Il vescovo di Praga tentò di impedire le conversioni forzate, visto che l’intera gerarchia della Chiesa in Boemia predicava contro tali atti. Ma il Duca era lontano dal paese e le proteste dei funzionari della Chiesa non furono in grado di fermare la folla dei Crociati.
Il cronista dell’epoca Ugo di Flavigny descrive come gli appelli dei religiosi furono ignorati, scrivendo:
“Certamente sembra incredibile che in un solo giorno in molti luoghi diversi, mossi all’unisono da una ispirazione violenta, ci furono massacri che non avrebbero dovuto aver luogo, nonostante la loro disapprovazione diffusa e la loro condanna in quanto contraria alla religione. Ma sappiamo che non avrebbe potuto essere evitato dal momento che si sono verificati di fronte alla scomunica inflitta da numerosi ecclesiastici, e della minaccia di punizione da parte di molti Principi”.
Dopo questi avvenimenti, gli ebrei di Colonia, la più ricca città sul Reno, erano naturalmente preoccupati e molti fuggirono. A Colonia probabilmente ci può essere stato un massacro di ebrei, anche se non ci sono fonti storiche che lo confermano. E 'certo, tuttavia, che il quartiere ebraico venne saccheggiato, arricchendo il Conte Emicho ed i suoi seguaci. Mentre gli ebrei non furono attaccati da tutti i Crociati, questi eventi dimostrano chiaramente che a quel tempo l'antisemitismo era una forza molto reale. Avendo deciso di combattere i nemici di Cristo in Terra Santa, alcuni Crociati prontamente generalizzarono la loro definizione di "nemico" per includere tutti coloro che si opponevano loro, sia come gruppo o individualmente. Così la prima Crociata iniziò con la violenza contro degli innocenti e, come vedremo più avanti, sarebbe finita allo stesso modo.

I GRANDI NEMICI: La prima crociata 1096-1099-1^parte-



1096: la spedizione del Conte Emicho

All’inizio dell’estate del 1096 un certo Emicho, Conte di Leiningen (nella valle del fiume Reno), famoso per la cattiva fama di cui godeva a causa dei suoi modi tirannici, sostenne di essere stato chiamato dalla rivelazione divina e, come un altro Saul, si mise al comando di quasi 12.000 Crociati, compresi le donne ed i bambini, raccolti lungo il medio Reno.
Le sue intenzioni erano quelle di saccheggiare ed uccidere gli ebrei che rifiutavano di convertirsi al cristianesimo e, quando apprese dei suoi intenti, il Sacro Romano Imperatore Enrico IV ordinò che gli ebrei venissero protetti.
Nella primavera del 1096, Emico, con i suoi seguaci raggiunse Colonia, presumibilmente perché la città era un punto di raccolta dei Crociati. Dopo che a maggio alcuni ebrei furono uccisi a Metz, Giovanni, Vescovo di Speyer diede loro rifugio. Ancora dodici ebrei di Spira furono uccisi dai Crociati il 3 maggio. Anche il Vescovo di Worms tentò di dare rifugio agli ebrei, ma il 18 maggio i Crociati di Emico irruppero nel palazzo episcopale e uccisero tutti gli ebrei che vi erano dentro. A Worms almeno 800 ebrei che rifiutarono il battesimo furono massacrati.
La notizia della crociata di Emicho si diffuse rapidamente ed il 25 maggio gli fu impedito dal Vescovo Ruthard di entrare Mainz. Emicho accettò l’offerta di oro fatta dagli ebrei nella speranza di ottenere il suo favore e la loro sicurezza. Intanto il Vescovo Ruthard, non fidandosi di Emicho, cercò di proteggere gli ebrei nascondendoli nel suo palazzo; ed aveva ragione, infatti Emicho non impedì ai suoi seguaci di entrare nella città il 27 maggio e ne seguì un massacro.
A Mainz molti borghesi cristiani avevano legami di lavoro con gli ebrei ed offrirono loro riparo (come i borghesi di Praga avevano già fatto). I borghesi di Magonza si arruolarono nelle milizie del Vescovo e del Governatore della città per lottare contro i Crociati, ma dovettero rinunciare quando si accorsero che i Crociati continuavano ad arrivare in città sempre in numero maggiore.
Nonostante l’esempio dei borghesi, molti cittadini di Magonza e di altre città si lasciarono coinvolgere sella frenesia e si unirono alla persecuzione e saccheggi. Magonza fu il luogo della massima violenza, con almeno 1.100 ebrei e forse più ad essere uccisi dalle truppe crociate.
Eliezer b. Nathan, un cronista ebreo di quel tempo, scrisse:
“Stranieri crudeli, feroci e veloci, francesi e tedeschi …. mettono le croci sulle loro vesti e sono più abbondanti delle locuste sulla faccia della terra.”
Il 29 maggio Emicho arrivò a Colonia, dove molti ebrei erano già fuggiti o si erano nascosti nelle case cristiane. Li altri gruppi minori di Crociati incontrarono Emicho, il quale lasciò loro un sacco pieno di monete prese agli ebrei. Emicho proseguì poi verso l’Ungheria, presto raggiunto da alcuni Svevi.
  oi, dopo essersi riempito di bottino, con il suo esercito raggiunse il Danubio e, ovunque trovava ebrei, li attaccava e li sterminava o li costringeva al battesimo forzato. Durante il suo viaggio Emicho venne raggiunto dal Visconte di Melun Guglielmo il Carpentiere, da Drogo di Nesle, e da altri Crociati della Renania, della Francia orientale, della Lorena, delle Fiandre e anche dall’Inghilterra. Tutti insieme, quando oramai i Crociati erano aumentati di gran numero, raggiunsero il confine della Pannonia, perché una “voce divina” aveva avvertito il Conte Emicho che non c’era alcuna differenza tra uccidere i pagani e gli ungheresi.
Il Re Coloman d’Ungheria, saputo dell’arrivo dei Crociati, si asserragliò nel castello di Meseberg, sulla Leitha. E così, per sei settimane, i Crociati assediarono la fortezza Wieselburg, ma subito tra di loro iniziò una stupida lite su chi di loro doveva diventare Re di Pannonia.
Alla fine l’esercito di pellegrini si lanciò all’attacco finale e riuscì a sfondare le mura del castello. Quando i cittadini si stavano dando alla fuga, il Re Coloman era oramai pronto a fuggire in Russia ed i Crociati stavano dando fuoco alla città, l’esercito di pellegrini, anche se vittorioso, inspiegabilmente si diede alla fuga; questo spinse gli ungheresi ad attaccare i Crociati. La maggior parte dei Crociati venne trucidata o annegò nel fiume. Emicho e alcuni dei suoi comandanti fuggirono in Italia o si indirizzarono verso Costantinopoli, anche se non si sa quale fine abbiano fatto.

ORIGINI

"Se ti dovessi dimenticare, Gerusalemme", fu il grido degli esuli di Babilonia lungo la strada dell’esilio, "si paralizzi la mia mano destra". Ripreso nei Salmi, echeggia da duemila anni nella letteratura, nella coscienza e nelle preghiere degli ebrei. Il sionismo è, sostanzialmente, la traduzione in termini moderni e in azione politica di questo angoscioso grido ("Im eshkahèh, Jeruscialàim tishkàh jeminì") che esprime la disperazione religiosa e umana degli ebrei.
La parola sionismo ha  più diun secolo. La usa per primo uno scrittore, N. Birnbaum. Viene dal nome di uno dei due colli di Gerusalemme, Moriah e Sion. Moriah era il colle dove sorgeva il tempio (di Salomone, distrutto da Tito nell’anno 7O), Sion quello su cui erano state costruite la reggia di Davide e la parte abitata della città. E il concetto di un concreto, anziché solo spirituale e apocalittico, "ritorno a Sion" (a Gerusalemme, a "Erez Israel", la "terra promessa") nasce appunto più di di un secolo fa, specie a seguito dei grandi "pogrom" antiebraici russi del 1881 n Kiev, a Elisavetgrad, a Odessa.(1)
Qualcuno va più indietro nel tempo, ed elenca 1’origine del sionismo (del fenomeno, si capisce, non del nome) fra le dirette conseguenze delle crociate. L’idea di una riconquista "territoriale", cioè, della Palestina è stata inventata o ridestata dall’impresa di Goffredo di Buglione. Alle crociate oggi abbiamo ormai dato una collocazione storica precisa: sotto la copertura religiosa, si è trattato di una grossa intrapresa economica, la conquista di. terre che i viaggiatori dell’epoca definivano fertili e ricche di tesori, sostanzialmente l’inizio del colonialismo europeo. Ne furono vittime gli "infedeli" musulmani: Teodoro Herzl ma appena partiti, in preparazione allo zelo missionario di sgozzare gli arabi, i crociati avevano preso ad allenarsi sgozzando gli ebrei delle piccole comunità indifese che incontravano, ancora in Europa, sul loro cammino: doppiamente infedeli gli ebrei, si capisce, per essere anche colpevoli di "deicidio", del1’uccisione del Cristo.(2)
(1)vds note nei commenti
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