mercoledì 5 ottobre 2011

persecuzioni nella spagna di fine del 1300

Le persecuzioni antiebraiche ebbero inizio in Spagna durante l'interregno del 1391, allorché 4.000 ebrei furono massacrati dai cattolici a Siviglia.Il motivo di questa persecuzione è presto detto. Anzitutto bisogna dire che nel rapporto arabi-ebrei le persecuzioni antisemite durarono solo fino al regno di Omar, il califfato elettivo (632-661), che caratterizzò il periodo del grande espansionismo arabo. Quando gli arabi o i berberi perseguitavano gli ebrei non lo facevano perché questi erano "ebrei" ma perché erano "avversari politici", non meno dei cattolici.
Ebrei di Spagna
Quando l'invasione in Spagna dei fanatici berberi Almohadi, nel 1146, aveva posto fine alla pace assicurata dai califfi di Cordova, gli ebrei erano semplicemente emigrati nella parte già dominata dai principi cristiani, i quali li avevano accolti favorevolmente, proteggendoli e allo stesso tempo sfruttandoli come fonte di reddito. Essendo loro proibita la proprietà terriera, vivevano solo nelle città, dove esercitavano i commerci e il prestito (agli ebrei p.es. era consentito di tenere aperte le botteghe in occasione delle festività religiose, ma anche di effettuare prestiti a interesse, in un'epoca in cui il denaro non veniva ancora considerato un mezzo per ottenere ricchezza).
La popolazione ebraica più numerosa e più prospera, nell'Europa del XIV secolo, era proprio quella spagnola, dove le comunità bene organizzate godevano della protezione particolare dei sovrani di Aragona e di Castiglia.
Grazie a queste condizioni favorevoli gli ebrei di Spagna (1) annoverarono fra loro una quantità di cortigiani, diplomatici, esattori delle imposte, medici, astronomi e molti intellettuali (dagli averroisti dichiarati e dagli esegeti biblici, ai poeti, sino ai traduttori di opere greche, filosofiche e scientifiche, che fecero carriera al servizio dei loro signori e che fecero guadagnare ai propri connazionali il titolo di "mediatori culturali d'Europa").
Alla fine del XV sec. la popolazione spagnola andava da un minimo di 5 milioni a un massimo di 17 milioni di persone. Gli ebrei erano circa 200-300.000 e generalmente vivevano una vita in condizioni assai migliori della grande maggioranza dei contadini e dei pastori spagnoli.
Il modo di comportarsi degli ebrei spagnoli non era molto diverso da quello esistente negli altri paesi europei, con la differenza però che mentre in Spagna dominava una cultura araba relativamente tollerante nei loro confronti, negli altri paesi dominava una cultura cattolica che lo era assai meno.
In campo cattolico le prime persecuzioni, anche se non esplicitamente antisemite, iniziarono proprio in occasione della prima crociata (1095), quella dei diseredati al seguito dei feudatari in cerca di fortuna, diretti verso oriente: lo sterminio delle famiglie ebraiche era semplicemente un modo di arricchirsi o di non pagare i debiti.
Una disposizione canonica del III Concilio Laterano (1179), poco praticata, proibiva agli ebrei e ai cristiani di vivere insieme. E il IV Concilio Lateranense (1215) aveva stabilito che gli ebrei dovevano vivere in quartieri separati e portare un segno di riconoscimento, consistente per gli uomini in cappelli di foggia e colore particolare (giallo o rosso) o un disco di panno sul mantello, mentre le donne dovevano avere un velo giallo sul capo, come le prostitute.
Nel 1242 furono pubblicamente arsi a Parigi ventiquattro carri di manoscritti ebraici di grande valore. Nel 1290 molti ebrei erano già stati espulsi dall’Inghilterra, dalla Normandia nel 1296, nel 1394 dalla Francia.
La peste nera che si diffuse in Europa nel 1348 fu un nuovo motivo di persecuzione. Gli ebrei furono infatti incolpati di diffondere la malattia avvelenando i pozzi, rimanendone essi immuni. Se la prima accusa era falsa, la seconda nasceva da un'osservazione probabilmente fondata: gli ebrei vivevano già raccolti e isolati in un'unica zona della città, seguivano particolari e rigorose norme igieniche per motivi religiosi e perciò la pestilenza non trovava tra loro terreno fertile. La calunnia, che nacque e si diffuse in Germania, provocò massacri e fughe. Molti ebrei fuggirono dal centro Europa e trovarono rifugio anche nell'Italia settentrionale, in particolare nelle comunità di Venezia, Padova, Ferrara, Mantova. Il numero degli ebrei che vivevano in Italia salì allora a circa 50.000 su un totale di 11 milioni di abitanti.
I sovrani spagnoli avevano dunque dei precedenti storici con cui poter legittimare le loro decisioni in merito all'atteggiamento ufficiale da tenere nei confronti della "questione ebraica". Di qui l'esigenza di imporre agli ebrei la conversione al cristianesimo.
A Toledo un esempio di conversione venne dato dall'ex consigliere privato del sovrano di Castiglia Enrico di Trastamara (salito al trono nel 1369), seguito da quasi tutta la comunità. Un ex rabbino convertito al cristianesimo divenne addirittura vescovo a Burgos e membro del Consiglio di Reggenza in Castiglia. Complessivamente le conversioni nei regni d'Aragona e di Castiglia si aggirarono intorno alle 230.000 unità.
Quelli che si convertirono al cattolicesimo (conversos) continuavano a dominare l'economia, la cultura e talora anche le cariche ecclesiastiche, suscitando il rancore dei cattolici di origine non ebraica, che a poco a poco si vedevano sfuggire tutte le posizioni di potere. Il rancore diventava violenza quando, in alcuni casi evidenti, gruppi di conversos mostravano che la loro adesione al cattolicesimo era stata puramente formale e mossa dal desiderio di occupare o di conservare cariche pubbliche o comunque posizioni di prestigio o facoltose, mentre in privato continuavano a celebrare riti giudaici (p.es. il rispetto del sabato o l'astinenza dalle carni di maiale o il digiuno del kippur) o "giudaizzavano" pubblicamente i riti cattolici. P. es. nella cattedrale di Cordoba si celebrava un ufficio dove molti riferimenti culturali erano giudaici.
La persecuzione popolare del 1381, seguita da quella degli anni 1413-14, in occasione della disputa di Tortosa, era la risposta al fatto che gli ebrei si erano trasformati da infedeli esterni alla chiesa cattolica in eretici interni alla stessa chiesa. Gli ebrei caratterizzati da queste conversioni forzate e ambigue venivano chiamati "marrani", dal significato incerto: in ebraico sembra volesse dire "apparenza dell'occhio", cioè "formalismo", ma voleva dire anche "apostata". In lingua spagnola però voleva dire "porco" (animale proibito nella cultura ebraica) e in seguito prese a indicare una persona abominevole, perché credente senza fede.
Dal 1412 i re di Castiglia e di Aragona attuarono una politica di conversioni forzate e per renderla più efficace moltiplicarono i divieti e le pratiche di emarginazione. Decisero infine di introdurre in Castiglia l’Inquisizione già presente in Aragona, proprio per evitare i pogrom, eliminando i focolai di giudaizzazione. Con l’approvazione da parte di papa Sisto IV nasceva così nel 1478 l’Inquisizione spagnola, e già due anni dopo iniziarono i processi contro i giudaizzanti.
Quanti furono i condannati a morte è difficile dirlo. Uno specialista danese, Gustav Henningsen, completato lo spoglio di 50.000 processi che coprono l'arco di 140 anni, ha reperito circa 500 casi di condanne a morte eseguite, cioè l'1%. Lo storico J. A. Llorente registra quasi 32.000 arsi vivi e più di 290.000 condannati al carcere (Histoire critique de l’inquisition d’Espagne, Paris, 1818).
Nel 1492 l'Inquisizione, ritenendo gli ebrei responsabili della sopravvivenza del marrano, propugna una soluzione "radicale" e chiede che tutti gli ebrei che non si vogliono convertire vengano espulsi dal paese. Si parla di "cospirazione marrano-ebraica". In sostanza il fallimento dell'Inquisizione porta i sovrani spagnoli a ordinare agli ebrei di convertirsi entro quattro mesi oppure di lasciare la Spagna, rinunciando ai propri beni
Quelli emigrati dopo l'editto reale del 1492 furono da 150.000 a 200.000. Quelli rimasti in Spagna, perché disposti a ricevere il battesimo furono circa 50.000. Molti di questi conversos poi si pentirono, tornarono alle pratiche giudaiche e furono duramente perseguitati dall'Inquisizione spagnola (vedi i cosiddetti "statuti di limpieza de sangre"). Lo storico statunitense Edward Peters sostiene che tra il 1550 e il 1800 vennero emesse 3000 sentenze di morte secondo verdetto inquisitoriale. Il 18 giugno del 1492 venne dato ordine di espulsione anche dalla Sicilia e dalla Sardegna (appartenenti alla Spagna).
Usciti dal paese, circa 120.000 andarono in Portogallo, che aveva allora poco più di un milione di abitanti e dove già esistevano circa 75.000 ebrei. Nel 1497 venne decisa, per ordine del re Manuel I, l’espulsione degli ebrei anche dal Portogallo (ci fu un pogrom a Lisbona nel 1506), dove però l’Inquisizione fu introdotta soltanto nel 1536. Fuggirono verso l'impero turco (Istanbul, Salonicco) e in parte verso i Paesi bassi e l'Italia centrosettentrionale, alcuni persino nel Nuovo Mondo.
La conquista spagnola del Regno di Napoli, nel 1504, segnò la fine delle numerosissime comunità ebraiche dell’Italia meridionale, anch’esse costrette a scegliere tra esilio e nascondimento nel marranesimo.
Dunque dopo più di otto secoli di vita nel paese iberico centinaia di migliaia di persone dovettero abbandonare una terra che sentivano come propria,al cui sviluppo  politico, sociale, economico, linguistico e culturale avevano attivamente collaborato, la cui lingua avevano creato insieme con gli spagnoli e con gli arabi. L'espulsione degli arabi e degli ebrei toglierà alla Spagna per molti secoli l'incentivo a trasformarsi in nazione capitalistica, segnando il suo destino nelle guerre contro i paesi più avanzati d'Europa.

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