mercoledì 28 settembre 2011

Federico II e gli ebrei 2^parte

Secondo lo storico di Cambridge "la politica dell'imperatore verso gli ebrei" sarebbe stata "tutt'altro che coerente sia sul piano geografico che su quello temporale. In Germania erano "servi della camera reale", tecnicamente sotto la protezione del sovrano; in Sicilia con il 1231 venne promulgata una complessa disciplina giuridica mirante, sino a un certo punto, a circoscrivere i prestiti a usura praticati dagli Ebrei, mentre al contempo Federico non disdegnava di servirsi a corte di uomini di scienza ebrei. Ancora una volta sarebbe assurdo andare a ricercare con troppa pignoleria segni di concordanza di idee, ancor meno di liberalità intesa in senso moderno. Il diritto romano, la pratica quotidiana e le esigenze della scienza divergevano anziché convergere".
Trattando poi la cultura alla corte di Federico II, considerata "una copia sbiadita dell'opulenta corte normanna e un'ombra della dominazione angioina", un giudizio che mi sembra assolutamente non condivisibile, Abulafia era però costretto a ammettere che l'imperatore svevo, "posto a raffronto del "cristianissimo", isterico, mangia-ebrei Luigi IX di Francia" appare come "uomo di buon senso e moderazione". Infatti, negli stessi anni quaranta del Duecento, in cui Luigi IX "il Santo", dopo una disputa pubblica, fece bruciare a Parigi il Talmud, alla corte di Federico II si svolgevano discussioni serene tra studiosi ebrei e cristiani; l'oggetto era, fra l'altro, l'interpretazione di alcuni brani del Talmud, e a queste discussioni partecipava qualche volta l'imperatore stesso. Ma su questo punto torneremo più avanti.
Lo straordinario interesse di Federico II per le culture non cristiane, sia quella araba che quella ebraica, ma anche per la cultura antica, ha affascinato gli osservatori moderni. Stupisce perciò, che uno studioso così serio come Abulafia, abbia potuto affermare che Federico II sarebbe da considerare "un imperatore medievale", cioè uno tra altri, uomo più del secolo XII che del XIII, insomma un conservatore più che un innovatore. Certamente in alcuni aspetti della sua politica lo svevo era legato a un concetto di potere imperiale che nel Duecento era ormai "superato", data la forza acquisita in Germania dai principi, in Italia dai Comuni e dal papa, in Inghilterra e Francia dalle rispettive monarchie che stavano per diventare Stati nazionali. Naturalmente, lo storico di oggi difficilmente considera Federico "il primo uomo moderno sul trono", come fece Jacob Burckhardt nel 1860, o "il primo europeo di mio gusto", come scrisse Friedrich Nietzsche.
Questi ultimi giudizi non sono però nati dal nulla. Anche dalle ricerche più recenti risulta la straordinarietà dell'apertura mentale di questo personaggio, nelle cui vene correva sangue tedesco, borgognone-lotaringio, normanno-italiano e che era cresciuto in una città multietnica e multiculturale come Palermo. Sia per discendenza che per formazione culturale egli era quindi diverso dai suoi antenati, anche se in alcuni settori della sua attività si muoveva chiaramente sulle tracce dei suoi grandi nonni, Federico I Barbarossa e Ruggero II di Sicilia.
Ma torniamo all'atteggiamento di Federico verso gli ebrei. Sembra opportuno iniziare il discorso partendo da una vicenda, avvenuta nel 1236, che può essere considerata un episodio-chiave per la posizione assunta dall'imperatore svevo verso gli ebrei. Che cosa era successo? Federico, dopo aver soggiornato per quindici anni in Italia, nella primavera del 1235 era tornato in Germania per reprimere la ribellione di suo figlio Enrico (VII) e per preparare una spedizione militare contro la lega lombarda. Mentre si trovava, all'inizio del 1236, nel castello di Hagenau, in Alsazia, una delle regioni preferite dello svevo, davanti al tribunale imperiale fu presentato un caso difficile, cioè l'accusa contro gli ebrei di Fulda di aver ucciso dei ragazzi cristiani.
Le fonti che parlano di questo episodio sono di natura diversa. Abbiamo una fonte documentaria, la sentenza emanata da Federico II (nell'agosto 1236 ad Augusta), e tre fonti cronachistiche più o meno vicine agli eventi. Di queste testimonianze quella risalente più direttamente all'accaduto è la sentenza del 1236, le cui parole certamente non sono state scritte senza l'esplicito consenso dell'imperatore. Qui si legge che a causa dell'uccisione di alcuni ragazzi di Fulda, attribuita agli ebrei di questa città, tutti gli ebrei della Germania erano stati messi in cattiva luce. L'imperatore, per appurare la verità, convocò un'assemblea di principi, grandi, nobili, abati e uomini di Chiesa.
Questi però, "essendo diversi esprimevano opinioni diverse, e si rivelarono incapaci di decidere la questione". Federico decise quindi di avviare un'inchiesta: "Ritenemmo, nella insondabile profondità della nostra coscienza che non si potesse procedere in modo migliore verso gli ebrei accusati del suddetto crimine, se non interrogando coloro che erano stati ebrei e si erano convertiti alla fede cristiana. Costoro, come nemici di coloro che erano rimasti ebrei, non avrebbero taciuto ciò che potevano sapere attraverso loro stessi o attraverso il Vecchio Testamento o i libri mosaici. Noi, benché la nostra coscienza, sulla base dei molti libri che la nostra maestà conosceva, ritenesse ragionevolmente accertata l'innocenza dei detti ebrei, per la soddisfazione sia della popolazione priva di cultura che del diritto abbiamo preso una decisione lungimirante e saggia; in accordo con i principi, i grandi, i nobili, gli abati e gli uomini di Chiesa abbiamo quindi inviato a tutti i sovrani delle regioni dell'Occidente messi speciali, attraverso i quali far venire dai loro regni alla nostra presenza il numero più grande possibile di neofiti pratici della legge ebraica".
Arrivati questi neofiti alla corte imperiale, fu loro chiesto se ci fosse un motivo per cui gli ebrei avrebbero avuto bisogno di sangue umano e per cui quindi avrebbero potuto essere indotti al menzionato crimine. Risultò che né nel Vecchio né nel Nuovo Testamento era scritto che gli ebrei avessero bisogno di sangue umano. Anzi, al contrario, risultò "dalla bibbia che in ebraico è detta Berechet (cioè Bereshìt [In principio], la prima parola del Pentateuco, vale a dire della Torah), dai precetti dati a Mosé e dai decreti giudaici detti in ebraico Talmilloht (cioè Talmud) che dovevano evitare di macchiarsi di qualsiasi tipo di sangue". In considerazione del fatto – si conclude la sentenza – che è improbabile che coloro, a cui è vietato il sangue di animali, avessero sete di sangue umano e mettessero per ciò in pericolo i loro beni e le loro persone, l'imperatore decretò che tanto gli ebrei di Fulda che del resto della Germania fossero prosciolti da un'accusa così infamante. 
Un Talmud, il complesso dell'esegesi della Legge orale ebraica (la Mishnah), raccolto in due compilazioni: il Talmud palestinese o di Gerusalemme (IV secolo d. C.) e il Talmud babilonese (V secolo d. C.).
 

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