sabato 24 settembre 2011

ORIGINI

"Se ti dovessi dimenticare, Gerusalemme", fu il grido degli esuli di Babilonia lungo la strada dell’esilio, "si paralizzi la mia mano destra". Ripreso nei Salmi, echeggia da duemila anni nella letteratura, nella coscienza e nelle preghiere degli ebrei. Il sionismo è, sostanzialmente, la traduzione in termini moderni e in azione politica di questo angoscioso grido ("Im eshkahèh, Jeruscialàim tishkàh jeminì") che esprime la disperazione religiosa e umana degli ebrei.
La parola sionismo ha  più diun secolo. La usa per primo uno scrittore, N. Birnbaum. Viene dal nome di uno dei due colli di Gerusalemme, Moriah e Sion. Moriah era il colle dove sorgeva il tempio (di Salomone, distrutto da Tito nell’anno 7O), Sion quello su cui erano state costruite la reggia di Davide e la parte abitata della città. E il concetto di un concreto, anziché solo spirituale e apocalittico, "ritorno a Sion" (a Gerusalemme, a "Erez Israel", la "terra promessa") nasce appunto più di di un secolo fa, specie a seguito dei grandi "pogrom" antiebraici russi del 1881 n Kiev, a Elisavetgrad, a Odessa.(1)
Qualcuno va più indietro nel tempo, ed elenca 1’origine del sionismo (del fenomeno, si capisce, non del nome) fra le dirette conseguenze delle crociate. L’idea di una riconquista "territoriale", cioè, della Palestina è stata inventata o ridestata dall’impresa di Goffredo di Buglione. Alle crociate oggi abbiamo ormai dato una collocazione storica precisa: sotto la copertura religiosa, si è trattato di una grossa intrapresa economica, la conquista di. terre che i viaggiatori dell’epoca definivano fertili e ricche di tesori, sostanzialmente l’inizio del colonialismo europeo. Ne furono vittime gli "infedeli" musulmani: Teodoro Herzl ma appena partiti, in preparazione allo zelo missionario di sgozzare gli arabi, i crociati avevano preso ad allenarsi sgozzando gli ebrei delle piccole comunità indifese che incontravano, ancora in Europa, sul loro cammino: doppiamente infedeli gli ebrei, si capisce, per essere anche colpevoli di "deicidio", del1’uccisione del Cristo.(2)
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13 commenti:

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  2. Pogrom è un termine storico di derivazione russa (Погром), che significa letteralmente "devastazione" con cui vengono indicate le sommosse popolari antisemite, e i conseguenti massacri e saccheggi, avvenute in Russia al tempo degli Zar, tra il 1881 e il 1921, con il consenso – se non con l'appoggio – delle autorità. Il termine ha poi assunto il valore di "persecuzione sanguinosa di una minoranza" in maniera decontestualizzata, nel tempo e nello spazio. In questo senso, il primo pogrom contro il popolo ebraico è quello compiuto nel 38 d.C. ad Alessandria d'Egitto.

    Dopo numerosi episodi avvenuti nel corso del Medioevo, i primi veri e propri pogrom dell'età contemporanea furono attuati nel 1881 in seguito all'assassinio dello zar Alessandro II. Un paio di decenni dopo, con il fallimento della rivoluzione russa (1905), circa seicento fra villaggi e città furono al centro di pogrom; un massacro ai danni della popolazione ebraica si era già avuto nel 1903 a Kišinev (oggi Chişinău, Moldavia). Sebbene tali «spedizioni punitive» fossero accreditate come reazioni spontanee della popolazione verso gli usi religiosi ebraici, sembra certo che esse furono volutamente organizzate dal governo zarista per convogliare verso l'intolleranza religiosa e l'odio etnico la protesta di contadini e lavoratori salariati sottoposti a dure condizioni di vita. Anche nella guerra civile susseguente alla rivoluzione bolscevica del 1917 furono attuati in Ucraina dai capi delle Armate bianche numerosi pogrom che causarono centinaia di migliaia di vittime.

    Vengono inoltre definiti pogrom una serie di massacri di cittadini armeni eseguiti dai Curdi tra 1895 e 1896 su precisa volontà dell'impero Ottomano, cui le organizzazioni indipendentiste armene risposero con atti terroristici, peggiorando ulteriormente la propria posizione. Con il mutamento al vertice di Istanbul, quando presero il potere i "giovani turchi", sembrò che il periodo dei pogrom fosse finito per gli Armeni, ma con la guerra mondiale la situazione cambiò bruscamente, e i pogrom si trasformarono da fenomeno locale e sporadico in un organizzato e sistematico massacro.

    Un pogrom accompagnò anche – nella Notte dei cristalli – l'inizio della campagna antiebraica nazista che portò alla Shoah.

    Durante le prime tre settimane della seconda guerra mondiale 250.000 furono gli ebrei vittime di pogrom scatenati dai cittadini polacchi approfittando del caos generale durante l'invasione tedesca.

    Numerosi furono anche i pogrom successivi alla seconda guerra mondiale ai danni dei sopravvissuti della Shoah, o di minoranze cristiane in terra islamica (pogrom di Istanbul); l'episodio più noto è il pogrom di Kielce del 1946, legato all'accusa del sangue della propaganda antisemita.

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  3. (2):1) L’aggressione agli ebrei nel corso della prima Crociata
    Le crociate, e in particolare la prima, costituiscono un tema topico della storiografia sulle vicende
    diasporiche del popolo ebraico.
    Una lunga tradizione, che ha trovato ispirazione nella stessa liturgia ebraica, ha infatti fissato negli
    anni che videro l’avviarsi del movimento crociato uno dei momenti più drammatici del manifestarsi
    dell’ostilità cristiana nei confronti degli ebrei e addirittura un decisivo turning point nella storia dei
    rapporti fra ebrei e cristiani in Europa.
    La sequela delle aggressioni a comunità e nuclei ebraici appare effettivamente impressionante. Lo
    hanno ricordato recentemente due lavori apparsi proprio qui a Bari; il primo di Cesare
    Colafemmina, il secondo di Giosuè Musca.
    I due saggi sono per certi aspetti complementari, in quanto il primo utilizza fondamentalmente le
    fonti ebraiche, mentre il secondo è costruito soprattutto su un attento spoglio delle fonti cristiane,
    e ad essi possiamo rimandare per una ricca informazione sulla serie dei massacri che colpirono gli
    ebrei nel corso del 1096.
    I centri più violentemente colpiti furono, nell’attuale Francia, Metz e poi, in Germania (e
    particolarmente nell’area renana) Treviri, Spira, Colonia, Worms, Mainz, la Svevia e Regensburg, e
    in Boemia, Praga.
    Si calcola che migliaia di ebrei abbiano perso la vita o perché massacrati o perché suicidatisi.
    E a questi morti vanno poi aggiunti gli ebrei caduti nel 1099 durante la presa di Gerusalemme o in
    battaglia o bruciati vivi nei luoghi di culto ove si erano rifugiati.
    Appare dunque legittima l’osservazione di Giosué Musca secondo il quale “la prima crociata ebbe
    inizio e conclusione con massacri di ebrei

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  4. (2)2) Il caso italiano
    Nonostante la palmare evidenza della gravità delle aggressioni agli ebrei da parte di cristiani che
    avevano risposto, nelle forme più varie, agli appelli per la crociata, appare tuttavia opportuno, alla
    luce della storiografia degli ultimi decenni, meglio circostanziare il drammatico scenario qui
    appena accennato e verificare se realmente la prima Crociata abbia rappresentato un turning
    point nella storia delle relazioni ebraico-cristiane in Europa.
    La nostra attenzione deve rivolgersi ai quadri geografici, ed emerge allora subito la sostanziale
    assenza dell’Italia dalla scena delle persecuzioni antiebraiche al tempo della prima crociata.
    Stando ai silenzi della grande maggioranza degli studiosi che hanno affrontato il tema (specie
    angloamericani, ma anche francesi, tedeschi e israeliani), scorrendo la sterminata bibliografia sulle
    Crociate i lettori meno avvertiti potrebbero giungere alla conclusione che in Italia non si ebbero
    aggressioni per la semplice ragione che la penisola non era abitata da ebrei.
    Conclusione, peraltro, che può spesso trarsi, sempre ex silentio, dalla maggior parte dei lavori
    relativi alla storia degli ebrei d’Europa tra fine del primo millennio e i primi due secoli del secondo:
    l’attenzione quasi ossessivamente rivolta al problema del formarsi dei due grandi gruppi ebraici
    degli Aschenaziti e dei Sefarditi ha infatti giocato a sfavore del riconoscimento del ruolo svolto da
    altri gruppi, fra i quali appunto gli Italiani, o Italkim: troppi autori hanno purtroppo la propensione
    a far diventare “Europa ebraica” o addirittura “mondo ebraico” l’area o i personaggi particolari cui
    dedicano i loro studi. La realtà, come ben sappiamo, è assai diversa, soprattutto per quanto
    riguarda Roma, l’Italia meridionale e la Sicilia.
    Qualche incertezza su una effettiva e consistente presenza ebraica può invece sussistere per
    l’Italia centro-settentrionale. Gli insediamenti ebraici erano qui certamente in minor numero, radi
    e con ridotta popolazione, ma non inesistenti. In effetti si possono provare, o quanto meno

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  5. (2)ipotizzare con sufficiente margine di sicurezza, presenze ebraiche a Luni (sec. VI), a Pavia (secc.
    VIII-XI), ad Asti e nelle campagne di San Miniato (sec. IX), a Lucca (secc. X, XI e XIII), Treviso
    (sec. X), Verona (secc. X-XIII), Ancona (sec. X), Rimini (secc, XI-XIII), Genova (sec. XII),
    Aquileia, Fano, Pesaro, Pisa e Mantova (secc. XII-XIII), Venezia, Ferrara, Forlì, Lugo, Cividale del
    Friuli, Massa Marittima, Siena e forse Trieste (sec. XIII).
    Come si può notare, si tratta, nella grande maggioranza dei casi, di centri situati sulle grandi vie
    di comunicazione, proprio quelle percorse dalle armate crociate che, superata Roma, si dirigevano,
    per imbarcarsi, verso l’Italia meridionale, oppure attraversavano la pianura padana per
    raggiungere la penisola balcanica.
    L’incontro con gli ebrei, nell’Italia centro-settentrionale, a Roma e nell’Italia del sud era dunque
    ben possibile per i crociati che percorsero la penisola.
    Ciò nonostante non possediamo alcuna credibile testimonianza su aggressioni subite dagli ebrei da
    parte dei crociati nel territorio italiano.
    Diversamente da quanto accade a nord delle Alpi, nessuna fonte di parte cristiana accenna a
    persecuzioni antiebraiche in Italia.
    Quanto alle fonti ebraiche abbiamo due sole indicazioni, una relativa all’Italia nel suo complesso,
    ed una relativa al Sud della penisola. Ma sono una molto tardiva (addirittura del secolo XVI), ed
    entrambe molto generiche.
    A fronte di cosi vaghi e deboli indizi non possiamo che concludere che agli ebrei d’Italia furono
    risparmiate le sofferenze patite dai loro correligionari franco-tedeschi.

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  6. (2)Varie ragioni possono contribuire a spiegare perché non si siano verificate aggressioni antiebraiche
    in Italia, in particolare in occasione della prima crociata.
    Secondo la Cracco Ruggini, ad esempio, era forte nel nostro paese la solidarietà anti-araba fra
    cristiani ed ebrei. E si tratta di un’ipotesi che può essere corroborata dall’assenza di atteggiamenti
    polemici contro gli ebrei nelle fonti che trattano delle spedizioni antisaracene condotte dalle
    cosiddette repubbliche marinare nel corso del secolo XI e nei primi decenni del XII. Franco Cardini
    ha poi insistito - invero indipendentemente dalla questione de lla persecuzione anti-ebraica - sulla
    circostanza che nel nostro paese la predicazione della crociata non fu né particolarmente diffusa,
    né realmente incisiva.
    Vi è però da osservare, in merito a questi due possibili suggerimenti, che tanto la solidarietà antiaraba,
    quanto la “freddezza” nei confronti della Crociata potevano mettere gli ebrei al riparo da
    eventuali aggressioni degli italiani, ma non certo dei crociati d’Oltralpe. Infine ancora Cardini ha
    sottolineato - sempre indipendentemente dalla quest ione della persecuzione anti-ebraica - il fatto
    che attraverso la penisola passarono soltanto truppe regolari, ben più facilmente controllabili delle
    bande che seminarono il terrore fra gli ebrei del nord della Francia e dell’area tedesca.
    Ma dato che, a quanto sembra, l’Italia fu attraversata proprio da alcuni compagni di quell’Emicho,
    che con i suoi era stato nell’area renana fra i più accaniti persecutori degli ebrei e da altri membri
    della ”crociata dei poveri”, quest’ultima indicazione di Franco Cardini può essere convincente, e
    tale da supportare la validità anche delle due precedenti, dello stesso Cardini e della Cracco
    Ruggini, se si conviene che la spinta aggressiva antiebraica delle truppe o delle bande crociate
    non trovò alcuna rispondenza in territorio italiano, diversamente da ciò che in molti casi era
    accaduto Oltralpe.
    L’impressione è infatti che lo scatenarsi delle violenze antiebraiche sia dipeso non tanto da una
    incontenibile spinta germinata entro l’idea stessa di Crociata, quanto più dalle tensioni presenti
    all’interno di una parte della società europea e dalla temporanea e occasionale incapacità di
    governarle da parte dei poteri pubblici, laici o ecclesiastici.
    Va in questo senso la lettura dei massacri di ebrei avvenuti in Europa nel 1096 che Robert Chazan
    ha proposto fin dal 1987 nel volume European Jewry and the First Crusade e che ha ribadito sia
    nel 1996 nel divulgativo In the Year 1096: The First Crusade and the Jews, che nel 1997
    nell’opera Medieval Stereotypes and Modern Antisemitism.
    Secondo Chazan quei massacri vanno visti come una sorta di parentesi nella storia dei rapporti fra
    ebrei e cristiani nei secoli del Medioevo centrale. Essi sarebbero stati determinati dall’insufficienza
    delle misure di ordine pubblico e, in certo modo – ma qui avrei delle riserve – dalla specularità di
    esasperati atteggiamenti religiosi tanto dei cristiani quanto degli ebrei che vivevano nelle aree

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  7. (2)germaniche. Le comunità colpite – osserva Chazan - sarebbero rifiorite nel giro di pochissimi
    decenni e nell’intero arco cronologico coperto dalle crociate anti-musulmane i poteri pubblici e la
    Chiesa (basti pensare a San Bernardo) sarebbero riusciti ad evitare (a parte episodi circoscritti) il
    ripetersi, in Europa e fuori d’Europa, di sistematiche aggressioni antiebraiche in connessione con
    la predicazione, la preparazione e lo svolgimento delle Crociate. Possiamo osservare che le
    vicende dell’ebraismo italiano corroborano le tesi sostenute da Chazan.
    Se, come abbiamo visto, qualche fievole voce sembra essersi levata per indicare anche nell’Italia il
    teatro di manifestazioni anti-ebraiche da parte dei partecipanti alla prima Crociata, in occasione di
    nessuna delle successive si ha la minima traccia nel nostro paese di atteggiamenti ostili nei
    confronti degli ebrei da parte degli eserciti diretti verso oriente, fossero locali o provenienti da
    Oltralpe.
    Anzi, proprio il secolo XII costituisce forse il periodo nel quale gli ebrei vissero più tranquillamente
    in tutto il nostro paese. Basti fare due nomi, quello di un celebre dotto, Avraham ibn Ezra, che,
    venendo dalla Spagna, trovò ospitalità a Roma, a Lucca, a Mantova e a Verona intorno alla metà
    del secolo, e quello di Beniamino da Tudela che descrivendo la condizione degli ebrei d’Italia,
    intorno al 1165, non segnalò alcun caso di violenza antiebraica.

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  8. (2)3) Il tema della conversione
    Il fatto che il “modello” italiano più di quello franco-tedesco dei massacri del 1096 meglio rifletta
    la realtà storica del rapporto fra cristiani ed ebrei in Europa ai tempi delle Crociate può consentirci
    di sdrammatizzare – non certo di dimenticare – gli eccidi perpetrati dalle bande crociate.Insistere
    sui crimini contro gli ebrei nel 1096 come se fossero un elemento “costitutivo” delle Crociate,
    presentarli come episodi di quasi “pulizia etnica” e fame una sorta di “antenati” dei pogrom o
    addirittura della Shoà, dell’Olocausto, e antistorico, anacronistico e per di più contraddittorio
    rispetto alla diffusa convinzione dell’unicità della Shoà. Non è certo il caso di alimentare, facendo
    ricorso anche alle crociate, quell’atroce, sterile e un po’ masochistica “concurrence des victimes”,
    di cui ha trattato recentemente Jean-Michel Chaumont.
    Questa sdrammatizzazione non muta tuttavia il significato di fondo dell’emarginazione degli ebrei
    all’interno del mondo cristiano nell’Europa dei secoli centrali del Medioevo e delle pressioni
    martellanti che essi furono costretti a subire. E’ vero che la Crociata non rappresenta un comune
    denominatore utile a spiegare in modo univoco l’evoluzione del rapporto fra cristiani ed ebrei in
    Europa. E’ vero che questo rapporto - come già ebbe a sostenere in termini generali Aryeh
    Grabois nel 1980 - si diversificò paese per paese a seconda dello sviluppo delle diverse
    organizzazioni politiche, sociali ed economiche degli Stati e delle città. E’ vero, in sostanza, che in
    aree diverse (in Francia, in Italia, in Spagna, in Inghilterra, in Germania) e in particolari occasioni,
    come quella delle Crociate, poterono generarsi sviluppi non omologhi.
    Ma è anche vero che vi fu effettivamente un “modello” unico, “europeo” o “cristiano” che voglia
    dirsi, e sostanzialmente elaborato dalla Chiesa, del rapportarsi del cristianesimo all’ebraismo. E al
    cuore di questo “modello” vi e una precisa, costante, pressante e martellante richiesta da parte
    dei cristiani: quella della conversione degli ebrei.

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  9. (2)Né porterò per l’Italia una sola testimonianza, agiografica. Era sfuggito all’attenzione degli studiosi
    dell’ebraismo italiano, ma non a Bernhard Blumencranz, un passo della Vita sancti Symeonis
    monachi, scritta pochi anni dopo la morte del santo, avvenuta a Polirone, non lontano da Mantova,
    nel 1016.
    Nel capitolo VIII (“Qualiter sanctus Symeon in Lucana civitate Iudeorum multitudinem ad
    Christum convertit”) si racconta che Simeone, un monaco eremita orientale giunto in Italia
    dall’Armenia, arrivando da Pisa a Lucca, ”in cuiusdam Iudaei domo.. hospitatus quievit”.
    Vi è subito da sottolineare, come indice di una pacifica convivenza fra cristiani ed ebrei, che san
    Simeone scelse di andare ad abitare a casa di un ebreo, forse un mercante, e in quanto tale
    abituato ad ospitare nella sua casa i forestieri, a maggior ragione se di origine orientale.
    Nella casa dell’ebreo, e durante una riunione conviviale, il santo cominciò a discutere di religione
    alla presenza di molti altri ebrei. Uno di essi, accanitosi a negare che il Cristo fosse nato da una
    vergine, si irritò a tal punto da morire improvvisamente (“spiritum ululandum emisit”). Colpito da
    questo ”Dei terribile iudicium”, tutto il ”Iudaeorum populus” di Lucca, su sollecitazione di san
    Simeone, decise di convertirsi e ricevette il battesimo dal Vescovo della città, fra suoni di campane
    ed entusiasmo popolare.
    La speranza, il sogno della conversione degli ebrei pervade, in una dime nsione millenaristica, tutta
    la società cristiana europea, possiamo dire fin quasi ai giorni nostri. La si attende
    fondamentalmente per via di miracoli e di inter- vento divino, ma si cade talora nella tentazione di
    accelerarla con mezzi umani, anche violenti. Ebbene, proprio il tema della conversione e a mio
    avviso dominante - pur senza dimenticare gli stereotipi antiebraici e la volontà di rapina e di
    saccheggio - anche nelle drammatiche vicende delle aggressioni e dei massacri degli ebrei da
    parte dei crociati in area francese e tedesca e poi in Palestina.
    In quasi tutti i casi assistiamo infatti non all’uccisione degli ebrei in quanto tali, ma in quanto
    renitenti alla conversione. Coloro che l’accettarono, beninteso sotto la minaccia delle armi, ebbero
    salva la vita.
    Come giustamente osserva Cesare Colafemmina le ”bande di crociati” si scatenarono sugli ebrei ”a
    caccia delle loro anime, pena le loro vite e i loro beni”.

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  10. (2)Non solo, ma perfino in occasione del massacro quasi totale degli ebrei nel corso della conquista di
    Gerusalemme del 1099 non manco, secondo Kedar, l’intenzione di convertire. In sostanza,
    propriamente, dovremmo parlare non di una indiscriminata eliminazione degli ebrei, ma
    dell’uccisione di quanti rifiutarono il cristianesimo.
    In questo senso i massacri del 1096 rappresenterebbero un’esasperazione della richiesta di
    conversione degli ebrei nel quadro di una Crociata che non va certo intesa addirittura come
    ”un’operazione di marketing religioso- militare”, come si e ancora recentemente ripetuto, ma
    fondamentalmente come un ”progetto di lotta contro il peccato e contro... il demonio”, ”come
    un’impresa di liberazione dal peccato” o, ancora, ”un esercizio di penitenza a remissione dei propri
    peccati”.
    Che in questa ”impresa di liberazione dal peccato” si sia inserito il massacro degli ebrei (che era
    ben lungi dal rientrare nel ”programma” - diciamo così - ufficiale delle Crociate o in una sorta di
    ”prassi”), e ovviamente intollerabile ai nostri occhi - come lo fu d’altronde anche agli occhi di molti
    degli esponenti della Chiesa e dei governanti di allora

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  11. (2)4) Dubbi e interrogativi finali
    Il fatto che i massacri di ebrei durante le successive Crociate siano stati molto meno gravi e
    numerosi di quelli del 1096 e che la Chiesa e i poteri pubblici abbiano saputo recuperare il pieno
    controllo della situazione fa sì che la prima Crociata possa oggi presentarsi quasi come una
    parentesi, e non come un decisivo turning point nella storia dei rapporti fra Cristiani ed Ebrei
    d’Europa.
    Il turning point sarebbe stato o precedente, come sostenuto da Daniel Callahan nel 1995, o
    successivo, come numerosi studiosi hanno ritenuto o, in fondo, ed è la mia opinione, non ci
    sarebbe mai stato, perché non si è in grado di identificare vere e proprie profonde soluzioni di
    continuità, valide per tutti i paesi europei, nell’atteggiamento cristiano nei confronti degli ebrei.
    E’ certo comunque che in tema di rapporti fra cristiani ed ebrei le Crociate, e soprattutto la prima,
    incisero profondamente, dove più e dove meno, su processi che erano peraltro già in corso.
    Come si è visto il vero motivo ispiratore degli eccidi del 1096 fu l’antico convincimento che la
    salvezza spirituale dell’umanità sarebbe stata conseguita soltanto al momento della conversione
    degli ebrei.
    Questo convincimento fu paradossalmente rafforzato e non indebolito dagli eventi franco-tedeschi
    del 1096.
    E’ a mio avviso particolarmente impressionante che le fonti ed i “cronisti” cristiani per lo più
    tendano a minimizzare il significato dei massacri degli ebrei.
    In genere lo deprecano, è vero, ma l’atteggiamento di fondo è la accettazione, come se si
    trattasse di un cataclisma naturale che procede dalla insindacabile volontà divina.
    Le violenze del 1096 contro gli ebrei, criticate, e talora risarcite(almeno sul piano
    dell’autorizzazione a ritornare all’ebraismo dopo le apostasie forzate), ma nel loro complesso

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  12. (2)accolte come inevitabili dal mondo cristiano, finirono per rafforzare, e non per indebolire, l’idea
    che fosse possibile e tollerabile - anche se forse non sempre lecito - convertire gli ebrei con
    adeguati mezzi di pressione.
    Non a caso l’antipapa Clemente III polemizzò vivacemente contro il ritorno all’ebraismo di coloro
    che erano stati convertiti a forza nel corso della prima Crociata.
    E lo stesso San Bernardo, critico nei confronti di quanti volevano ricorrere alla violenza, fu ben
    lungi dall’attenuare il leit - motiv della auspicata conversione degli ebrei.
    Forse con un qualche schematismo, si può sostenere che dopo il 1096 il mondo cristiano, uscito
    dalla riforma gregoriana, confermò la sua scelta di rinunciare alla violenza armata nell’opera di
    conversione degli ebrei, ma la controbilanciò con il ricorso più sistematico ad altri due mezzi
    tradizionali di pressione sugli ebrei: il progressivo abbassamento della loro condizione all’interno
    della “societas” cristiana e la minaccia (spesso poi concretizzatasi) dell’espulsione. Caratterizza
    simbolicamente questa scelta della Chiesa il tema letterario e iconografico, diffusissimo, del
    contrasto fra la Chiesa e la Sinagoga: quest’ultima e battuta e scacciata, ma mai ferita o uccisa.
    Se è plausibile questa ipotesi, e legittimo sostenere che il movimento crociato se non fu
    propriamente, come ha sostenuto Colafemmina, “il detonatore che fece esplodere l’avversione per
    gli ebrei coltivata per secoli dal magistero pastorale e dalla liturgia cristiana negli animi dei
    semplici”, quantomeno contribuì all’aggravarsi della condizione degli ebrei nell’ambito del mondo
    cristiano.

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  13. (2)NOTA BIBLIOGRAFICA
    H. LIEBESCHUTZ, The Crusading Movement and its Bearing on the Christian Attitude toward Jewry in “Journal of
    Jewish Studies”, X (1959), pp. 97-111, poi in Essential Papers on Judaism and Christianity from Late Antiqiiity to
    the Reformation a cura di Jeremy Cohen, New York 1991, pp. 260-275; BERNHARD BLUMEKRANZ, Juifs et
    chrétiens dans le monde occidental, 430-1096, Paris-La Haye 1960; ATTILIO MILANO, Storia degli ebrei in Italia,
    Torino 1963; LELLIA CRACCO RUGGINI, Note sugli ebrei in Italia dal IV al XVI secolo (A proposito di un libro e di
    altri contributi recenti) in “Rivista Storica Italiana”, LXXVI (1964), pp. 926-956; SHLOMO EIDELBERG, The Jews and
    the Crusaders. The Hebrew Chronicles of the First and Second Crusades, Madison-London 1977; PAOLO GOLINELLI,
    La “Vita” di s. Simeone monaco in ”Studi medievali”, 3a serie, XX (1979), pp. 762-763; VITTORE COLORNI, Gli
    ebrei nei territori italiani a nord di Roma dal 568 agli inizi del secolo XIO in Gli Ebrei nell’Alto Medioevo. Atti della
    XXVI Settimana di Studio del Centro italiano di Studi sull’Alto Medioevo (Spoleto 30 marzo-5 aprile 1978 ), Spoleto
    1980, I, pp. 241-312, poi in Id., Judaica Minora, Milano 1983, pp. 67-127; RAUL MANSELLI, Italia e italiani alla
    prima crociata, Roma 1983; AR, La Chrétienté dans la conscience juive en Occident aux Xe-Xlle siecles in La
    Cristianità dei secoli XI e XII in Occidente: coscienza e strutture di una societa. Atti della ottava Settimana
    internazionale di studio, Mendola, 30 giugno-5 luglio 1980, Milano 1983, pp. 303- 338; JONATHAN RILEY-SMITH,
    The First Crusade and the Idea of Crusading, London - Philadelphia 1986; ROBERT CHAZAN, European Jewry and
    the First Cnisade, Berkeley-Los Angeles-London 1987; MICHELE LUZZATI, Introduzione al Congresso in Ebrei e
    Cristiani nell’Italia medievale e moderna: conversioni, scambi, contrasti. Atti del VI Congresso internazionale
    dell’AlSG, San Miniato, 4-6 novembre 1986, Roma 1988, pp. 9-17; FRANCO CARDINI, Studi sulla storia e sull’idea
    di Crociata, Roma 1993; ANNA SAPIR ABULAFIA, Christians and Jews in the twelfth-centung renaissance, London
    1995; DANIEL F. CALLAHAN, Ademar of Chabannes, Millenial Fears and the Development of Western Anti-Judaism
    in “Journal of Ecclesiastical History”, 46 (1995), 1, pp. 19-35; CORRADO VIVANTI (a cura di), Gli ebrei in 1talia, I,
    Torino 1996; ROBERT CHAZAN, In the Year 1096: The First Crusade and the Jews, Philadelphia 1996; JEAN-HERVE
    FOULON, L’ecclesiologie du Concile de Clermont: “Ecclesia sit catholica, casta et libera” in Le Concile de Clermont
    de 1095 et I’appel à la Croisade. Actes du Colloque Universitaire International de Clermont-Ferrand (23-25 Juin
    1995 ) organisé et publié avec le concours du Conseil Regional d’Auvergne, Rome 1997; FRANCO CARDINI, L’Italie
    et la Croisade, ibid.; BENJAMIN Z. KEDAR, L’appel de Clermont vu de Jerusalem, ibid.; ROBERT CHAZAN, Medieval
    Stereotypes and Modern Antisemitism, Berkeley-Los Angeles-Oxford 1997; CESARE COLAFEMMINA, I martiri ebrei
    della prima Crociata in “Nicolaus”, XXIV (1997), pp. 105-126; JEAN-MICHEL CHAUMONT, La concurrence des
    victiines. Genocide, identite, reconaissance, Paris 1997; Giosuè MUSCA, Il Vangelo e la Torah. Cristiani ed ebrei
    nella primo Crociata in “Quaderni medievali”, 45 ( giugno 1998 ), pp. 63-128, poi in volume a parte, Bari 1999.

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